domenica 22 febbraio 2015

Gourmet in trasferta: l'informatico che divenne pizzaiolo


Faceva l'informatico e oggi fa il pizzaiolo.

Insegnava a fare la pizza e oggi si propone in prima persona per far assaggiare le sue, di pizze.

Voleva portare conoscenze e tecniche di altre scuole e tradizioni nel solco della pizza tradizionale napoletana e oggi continua a rompere barriere cimentandosi con chef di caratura ed esperimenti di lievitazione impensabili.

Basterebbero queste tre considerazioni per comprendere che con Michele Leo ci troviamo di fronte a un pizzaiolo napoletano sui generis, dalle vicende personali tortuose, che ha in ogni tessuto quella meravigliosa instabilità che porta a cambiarsi e rinnovarsi, al quale è stato affidato da quasi un anno l'arduo compito di gestire una pizzeria nel pieno centro antico di Napoli - il che vuol dire avere a che fare con la tradizione popolare, nella fattura della pizza e nel prezzo - con la consapevolezza di non essere una pizzeria napoletana fra le tante ma l'emanazione dell'adiacente ristorante stellato di Palazzo Petrucci.

A posteriori, la scelta è quanto mai oculata, Michele Leo si è confrontato - nella sua formazione - con il mondo intero della pizza, ben oltre il solo pianeta-Napoli, assorbendo e incamerando tessere di un puzzle teorico-pratico variegato, con il preciso intento di incastrarlo fino a comporre nel risultato finale una pizza napoletana che fosse tale nella sua riconoscibilità e che anzi ne sublimasse le virtù.

La pizzeria di Palazzo Petrucci può sembrare in apparenza solo il bel locale con annesse piazza San Domenico Maggiore e terrazza che affaccia sulla stessa, per un'esperienza di degustazione suggestiva, che coniuga le bellezze della città con le sue bontà, in un'atmosfera più raffinata e maggior cura dei dettagli.

Ma dietro quel bancone, sul quale Michele Leo stende e concia le sue pizze, si cela un piccolo laboratorio di esperimenti che proiettano questo pizzaiolo in avanti di almeno dieci o vent'anni, raggiungendo risultati che sarebbe difficile divulgare oggi senza essere presi per pazzi o eretici.

Non facile la sua convivenza con la tradizione, col disciplinare della pizza STG e quindi con le associazioni di categoria, con le altre pizzerie della zona che d'altro canto si propongono innanzitutto per la loro storicità, conservando anche nei prezzi un approccio con la clientela affatto differente nella concezione.

Ma non è per l'euro, l'euro e mezzo in più a pizza, sul quale si può ragionare e attorno al quale ci possono essere ridde di opinioni.

La pizzeria guidata da Michele Leo mette al centro della sua proposta la ricerca, la quantità di pensiero a monte della pizza, la concezione sempre ben meditata di ogni singola voce in carta, oltre a una procedura realizzativa che si arricchisce di passaggi tecnici propri di altre scuole e filoni.

Folgorante e fruttuoso per Michele Leo, dopo aver lasciato computer e linguaggi di programmazione, l'incontro con Gabriele Bonci, cui va il merito di aver da una parte accolto e incoraggiato il suo ardire e ardore, e dall'altro di non aver messo paletti affinché Michele Leo trovasse il suo modo di conciliare quanto appreso con il maestro-amico-collega romano con l'intoccabile pizza ai piedi del Vesuvio.



E così, come quando qualcuno scopre che la Terra non sta fissa al centro ma gira attorno al Sole contrariamente a quanto si affermava per dogma, Michele Leo scopre che si può impastare anche partendo dalla farina e non dall'acqua, che il punto di pasta non si trova solo a sensazione ma può essere calibrato al millimetro, che si può far lievitare anche a temperatura controllata, il che significa anche governare il processo di maturazione accompagnandolo per tempi più lunghi, stabiliti dall'uomo in base al risultato che vuole ottenere, utilizzando il tipo di farina migliore a seconda dei casi.

Le cassette coi panetti sono tutte etichettate con la data di realizzazione, che testimonia una maturazione portata oltre confine, c'è quella da 48 ore, quella da 72, e quelle oltre ancora, dove osano i coraggiosi, col risultato di una pizza che già al primo morso rivela tutto il suo equilibrio tra un'appagante sofficità e un velo quasi impercettibile di croccantezza, e dove il rischio gommosità è praticamente debellato.

Michele Leo ha alzato l'asticella del salto in alto della pizza, ha abbattuto il muro del suono della lievitazione, ha realizzato impasti capaci di raggiungere caratteristiche fisiche inarrivabili.

E a partire dalle farine, passando per tutti gli altri ingredienti, non si fa guidare da logiche campanilistiche o consortili, e usa indifferentemente il prodotto che gli serve in base all'obiettivo che si prefigge.

Ben conscio di quanto sia difficile far capire l'importanza delle sue sperimentazioni, Michele Leo si muove guardingo, perché un conto è sperimentare per allargare l'orizzonte, altro conto è voler forzare la mano  - siamo pur sempre al centro della patria della pizza - e anche l'avventore di passaggio quasi sempre si aspetta una pizza napoletana riconoscibile, me compreso.

Ma tutto questo gran lavoro da alchimista degli impasti ha l'unico scopo di aumentare la conoscenza e quindi la qualità della pizza, senza rincorrere rivoluzioni e stravolgimenti per il gusto di stupire.


Concezione della pizza, si diceva.

La sua Mastunicola è lampante: nota per essere la pizza più antica secondo le nostre fonti, Michele Leo l'ha filtrata attraverso la sua sensibilità, lasciando inalterata la base di sugna e pecorino, e giocando attorno a questo concetto di antico, con l'inserimento della tipologia più storica del pomodorino, il piennolo giallo, e strizzando l'occhio alla leggerezza - si fa per dire! - sostituendo gli eventuali cicoli con la gola di maiale.


L'opportunità di stare porta a porta con un ristorante stellato si concretizza in incontri prestigiosi, che permettono a Michele Leo di far reagire - proprio come in un altro esperimento - la creatività di chef dell'alta cucina con il prodotto che maggiormente rappresenta la semplicità che viene dal basso, la pizza.

Dallo scambio con Nino Di Costanzo nasce così un piccolo capolavoro di equilibrio dei contrasti, con una base di blue di bufala, intensificata dalla cipolla ramata di Montoro, e una pioggia di scarola cruda, olive nere e olio alle acciughe a bilanciare dolcezza e grassezza con acidità e sapidità.

la levità della pizza non si modifica, né quando la temperatura della stessa scende inevitabilmente, né quando la pizza si raddoppia, e questo non dipende solo dall'appetito e dal desiderio di chi siede a tavola, ma dall'intrinseca leggerezza.

Dai 5-6 € di partenza, fino ai 10 o 12 per la pizza stellata, con ingredienti d'eccellenza, oltre alla ricchissima lavorazione già descritta, con una linea di birre Karma accuratamente scelte, da spillare o stappare secondo preferenza.

Le virtù di Michele Leo si completano nella misura e nel garbo con il quale sa aprire le porte del suo laboratorio, raccontarsi, con la lucidità di chi vuole capire il codice profondo della pizza, ma solo affinché il pubblico possa uscire da Palazzo Petrucci felice di aver provato un'esperienza di gusto che dalla tradizione si lancia direttamente nell'evoluzione del piatto più incredibile del mondo.

Pizzeria Palazzo Petrucci
Piazza San Domenico Maggiore 5-7
80134 Napoli
tel. 081 5512460
Sempre aperto

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