martedì 16 giugno 2015

Gourmet in trasferta: a scuola di pizza con Vincenzo Esposito



La pizza, il simbolo, il mito, il marchio di fabbrica della napoletanità, lo street food per antonomasia, il più ricco dei piatti poveri, il più copiato nel mondo, il più imitato e difficile da imitare, se non si conoscono i fondamenti della sua preparazione.

Oggi però le cose non sono più così complicate, della pizza e di come si prepara se ne parla e come, anzi, attorno alla pizza c'è il più intenso e continuo dibattito - non solo nell'area geografica dei dintorni partenopei ma fino a coprire il territorio nazionale - su come dovrebbe essere fatta, sulla paternità da attribuire, sulle variazioni da ammettere o esecrare, sul suo essere doc, dop, igp e chi più sigle ha più ne metta.

Altrettanto vero che la maggior parte di questo dibattito, che a volte arriva a inferocirsi, verte sull'impasto.

Tra strenui difensori dell'impasto tradizionale sancito anche dall'AVPN e arditi sperimentatori di nuove frontiere della pizza, tra fedeli osservanti della farina doppio zero e pionieri della fibra a tutti i costi, tra gli arroccati al lievito di birra ai premurosi di quello madre, tra chi proprio non si sogna di superare la mezza giornata di lievitazione e chi invece dice che se ne parla almeno il giorno dopo, il confronto, la contrapposizione, persino gli scontri non smettono di riempire giorno per giorno la comunicazione attorno alle pizze.

Tutto questo batti e ribatti però rischia di appiattire la complessità, e la bellezza artigianale della pizza, interamente sulla pasta, su quest'alchimia di acqua, sale, farina e lievito, dimenticando che anche la migliore pasta può essere inguaiata da mani incapaci di darle forma, o peggio ancora da occhi disattenti nel gestire forno, pala e cottura.

Con la scusa che poi in casa la pizza napoletana non la puoi mai fare veramente per ragioni tecnologiche, è chiaro che tutto l'interesse mediatico sia finito sull'impasto: a chi legge su riviste o internet, o a chi guarda programmi televisivi con protagonista la pizza, alla fine interessa solo come impastarla.

Invece, sarebbe - anzi, è - molto importante conoscere almeno i fondamenti della stesura e della cottura della pizza, per accrescere la conoscenza e poter meglio valutare l'esperienza degustativa personale e lo spessore professionale del pizzaiolo e del fornaio.

Naturalmente, quando passiamo dall'universo dell'impasto a quello della stesura e della cottura, stiamo abbandonando cose perfettamente classificabili e misurabili come la tipologia di farina e lievito e il peso dei singoli ingredienti o i giri delle lancette dell'orologio in attesa della maturazione, e ci addentriamo nella pura dimensione artigianale, in una pratica che costruisce di volta in volta la sua teoria, in qualcosa che si sente sotto le mani, si soppesa con gli occhi, si valuta a pelle percependo il calore del forno.

Qualsiasi pizzaiolo può scrivervi su un foglio di carta le dosi e i tempi del suo impasto, ma diventa tremendamente difficile fare la stessa cosa per spiegare come si stende e come si cuoce una pizza.

A meno che non ci si rivolga, come ho fatto io, a un signor pizzaiolo, in questo momento in grande spolvero, innamorato pazzo della sua professione e generoso come pochi nel raccontare quello che fa e come lo fa.


Sto parlando di Vincenzo Esposito, della pizzeria Carmnella - del quale avevo già raccontato qui - sempre più lanciato, aperto al confronto, tanto da raccogliere in questi ultimi tempi il frutto di tanto serio lavoro ed esperienza accumulata, a partire dalla solida formazione sotto suo padre - storico pizzaiolo napoletano - e dal confrontarsi ogni giorno con un pubblico di veri napoletani che sulla pizza non perdonano.

Ovviamente Vincenzo è talmente bravo che proprio ciò che prima ho detto essere difficilissimo, ossia scrivere su un foglio come si fa, lui in quattro e quattr'otto lo fa e lo spiega egregiamente.

Così come si rivela uno scrupoloso insegnante, fermando ciò che non si può fermare, ossia il movimento tipico della tradizione napoletana nella stesura della pasta, permettendomi di immortalare fotogramma per fotogramma il procedimento.

Se dunque t'interessa andare oltre le percentuali tra acqua e farina, buttarti alle spalle il dilemma sui lieviti, fregartene per un po' di quante ore far passare prima di preparare la tua buona pizza, ma vuoi scoprire come si stende e come si cuoce la pizza napoletana nel forno a legna, ringrazia Vincenzo Esposito che mo' te lo spiega passo dopo passo.

lunedì 15 giugno 2015

Gourmet in trasferta: la giornata del pasticciere Camillo

La metro m'ha fregato.

Pensavo aprisse prestissimo, permettendo a coloro che lavorano a cavallo tra la notte e l'alba di raggiungere le proprie postazioni, e a me di unirmi a loro.

Invece, quando arrivo a Vico Acitillo trovo il regno delle dolci creazioni in pieno fermento.

Camillo mi accoglie nel laboratorio della sua pasticceria per raccontarmi e farmi vivere la sua giornata da pasticciere, il ritmo che a volte non sa che cosa voglia dire rifiatare, il pensiero lungimirante nel calcolare tante ore prima il risultato che si raggiungerà tante ore dopo, il caldo naturale di questa imminente estate, unito al caldo artificiale dei forni e a quello circostanziale di quattro mura non troppo ampie, con altri due collaboratori e la mia curiosità, per un totale di quattro bocche e otto polmoni a dividersi l'aria.

Saluto veloce, caffè che arriva dal bar in una bottiglietta di vetro, riciclo di succhi di frutta, come solo a Napoli succede, e la dolce arte prende vita.

lunedì 1 giugno 2015

Gourmet in trasferta: ho parlato a una capra


Non manca molto, poco più di tre mesi, prima che questo splendido becco entri in stalla ad accendere il calore tra le sessanta capre che Maria Chiara Onida cura giorno per giorno da quasi trent'anni, sulle prime alture di Ruino, nell'Oltrepò Pavese.

Località e azienda agricola condividono lo stesso nome, il Boscasso, che dal 1988 è passato dall'essere toponimo a sinonimo di eccellenza nella produzione casearia caprina.

Di becchi in realtà ce ne sono sempre tre, e tra le capre ce ne sono sedici primipare, in base a precisi parametri attraverso i quali Maria Chiara mantiene costante la qualità della vita, e quindi del latte, delle sue splendide capre.