martedì 22 aprile 2014

Gourmet in trasferta: la pizza più discussa d'Italia


Dopo aver assaggiato la pizza più buona d'Italia ho guardato con incredulità alla recente polemica sulla pizza di Princi a Milano, con la consulenza di Franco Pepe.

L'aspra contesa ha visto contrapporsi critici e testate, bloggers e gourmet, napoletani e nordici, disputando su quali debbano essere i criteri per giudicare se una pizza napoletana sia buona o meno.

Ho colto così la prima occasione utile per andare ad assaggiarla, col preciso intento di verificare perché ai miei occhi di napoletano con più di qualche pizza già bella e digerita quelle pizze di Princi/Pepe sembrassero perfettamente canoniche se non addirittura tra le migliori, mentre al palato di alcune voci in vista della stampa e della rete fossero un totale fallimento.

Forse l'apparenza m'inganna, forse mi sento di parte rispetto a chi la critica e non conosce la pizza napoletana, forse mi fido troppo del parere di chi ne ha parlato bene perché li stimo...

Certe posizioni bisogna prenderle di persona e con cognizione di causa, perciò treno Romano-Milano,direzione piazza XXV Aprile, un giretto da Eataly Smeraldo, e poi dritti a tavola.

lunedì 21 aprile 2014

Osteréa dè la Anetì: ol bu ‘l piâs a töć

La cucina bergamasca è una cucina buona, nel senso più ampio del termine.

È buona perché animata dalla necessità: il mangiare semplice, ricorrendo prevalentemente a ingredienti e prodotti in purezza o col minimo di elaborazione, testimonia di una tradizione formatasi all'insegna della sopravvivenza, una sopravvivenza che si fa addirittura arcaica, se pensiamo che le polente sono state tra i primi cibi dell'uomo stanziale e coltivatore.

È buona perché votata alla qualità: il bergamasco è fortemente legato ai prodotti della sua terra, a volte in modo ostinato e chiuso nei confronti delle altre culture e tradizioni, ma perché si fida di chi alleva e lavora i prodotti di origine animale trasformandoli in carni succulente, insaccati e salumi pregevoli e soprattutto formaggi di incredibile varietà e raffinatezza.

Infine, è buona perché orientata alla convivialità: una convivialità amichevole o familiare, che anima tavole attorno alle quali non si fanno tanti complimenti, si parla senza fronzoli, si fanno affari e si regolano rapporti, come se l'atto del mangiare rivelasse ai commensali la caratura di una persona.

Una cucina simile al di fuori delle case era possibile trovarla solo presso un oste, ma è pur vero che l'osteria è senza dubbio la grande scomparsa dalle città italiane, proprio perché oggi le caratteristiche di sopravvivenza, località e convivialità sono sempre più lontane dall'esperienza del mangiare a pagamento, che oscilla schizofrenicamente tra il mangiare frettoloso a bassissimo costo e qualità dei famigerati pranzi di lavoro, alle raffinate avventure gourmet a due zeri fissi che si situano al polo opposto.

Con questo spirito, all'Osteréa dè la Anetì a Bergamo i quater ostèr portano avanti l'importante missione di tenere in vita la loro tradizione, consapevoli che una cultura che non si tramanda è destinata a dissolversi, e loro non hanno alcuna intenzione di assistere passivamente al dissolvimento della storia gastronomica orobica.

In bergamasco si dice che l'è 'l vi che l' fa l'ostaréa, e a Bergamo il vino è Valcalepio, in questo caso Locatelli Caffi, che ha calore a sufficienza per accompagnare piatti che non la mandano a dire.

Il menù, anzi i menù da Anetì permettono di esplorare la tradizione bergamasca, soprattutto delle paste ripiene, la selvaggina e il mondo agricolo, i piatti di assemblaggio di salumi e formaggi, con la polenta sempre pronta a fare da sostegno quando è il caso.

sabato 19 aprile 2014

Una Pasqua speciale: casatiello e pastiera


Sarò controcorrente, forse, ma da un punto di vista gastronomico, preferisco di gran lunga la tradizione pasquale a quella natalizia.

Il Natale, così intrecciato a dinamiche commerciali - una volta si diceva consumistiche - ha visto mescolarsi le tradizioni locali, focalizzarsi soprattutto sulla produzione dolciaria, nazionalizzando i classici dolci da forno e quasi del tutto cancellando o mettendo fortemente in sordina le altre specialità italiane legate alla natività.

La Pasqua invece, ancora libera da forti condizionamenti economici, vede trionfare le specialità regionali, le specificità, i menù tradizionali, e anche chi non ha piatti specifici legati a questa festa, la vive comunque come festa, preparando il piatto principe della propria tradizione.

Forse la tradizione culinaria regionale più forte d'Italia legata alla Pasqua è proprio quella napoletana, e non è affatto strano.

La vocazione rurale e agricola della Campania è roba di millenni, anche se deturpata da un secolo e più, ma le tradizioni per fortuna arrivano sempre da tempi migliori e sono in grado di resistere alle decadenze.

Mettendo da parte la cucina, e quindi la preparazione di paste, carni, verdure, che pure rientrano nei menù tipici di questo periodo e di questa zona, gli emblemi sono senza dubbio il casatiello e la pastiera.

Sorta di pane rustico il primo, dolce contadino sopraffino la seconda, hanno la capacità di raccontare le loro origini, i loro contesti di nascita e sviluppo, e soprattutto le ragioni del loro duraturo successo.