martedì 29 gennaio 2013

Noter de Berghem: la rossumada


Per onestà, bisogna dire che questa preparazione - a metà tra il tonico e il dessert - è di accertate origini meneghine, ma io l'ho conosciuta qui nella bergamasca come il ricordo di giovani e meno giovani di una merenda leggendaria.

La rossumada - la cui usanza dilaga finanche all'Emilia Romagna - è qualcosa in più del semplice uovo sbattuto e un filino in meno di una mousse, soprattutto nella versione albumata che presento io.

Tuorlo d'uovo - il termine rossumada si riferisce ovviamente al suo colore - , zucchero, qualcuno dice Bonarda, altri Barbera, chi afferma che d'estate sia meglio il latte, il tutto ben frustato finché schiuma, chi vuole un risultato certamente spumoso non rinuncia all'albume a neve, ed ecco una crema soffice come non mai.

Con che cosa mangiarla?

Tralasciando i golosi che non esiterebbero a farla fuori così com'è a cucchiaiate, gli abbinamenti sono gli stessi di tutte le creme d'uovo, quindi ottimi biscotti secchi o savoiardi, un grande panettone - io ho fatto così, anche perché in questi giorni puoi prendere gli ultimi panettoni di pasticceria facendo affari - oppure, per chi vuole tuffarsi nella leggenda, semplici tocchi di pane.


Niente cottura, quindi massima freschezza delle uova, e mi commuovo a vedere questi gusci sui quali la padrona delle galline ha attentamente vergato la data di deposizione, così come mi piace il bianco del guscio, segno di una razza diversa da quella delle galline anglosassoni le cui uova sono diffuse nella grande distribuzione.

domenica 27 gennaio 2013

Ristoranti gourmet: INGRUPPO è più bello!


Dal 15 gennaio e fino al 30 aprile 31 luglio per i gourmet bergamaschi c'è un dovere da compiere: aderire all'iniziativa di INGRUPPO.

I quindici migliori ristoranti della provincia di Bergamo accessibili con menù speciali e a prezzi anticrisi, solo 99 € per due persone - fa eccezione Da Vittorio che costa il doppio, comunque almeno 50 € in meno a persona rispetto ai suoi standard - per cene di assoluto livello ed esperienze di degustazione indimenticabili.

Qualche nome?

Groupon Adventures: dal Sogno di Pulcinella non svegliatemi!



Scrivo con l'eco di una sorpresa, una di quelle sorprese che cambiano radicalmente le tue aspettative.

Lo ammetto: quando la mia compagna ha deciso di acquistare l'offerta Groupon per mangiare la pizza a metro de Il sogno di Pulcinella mi sono sentito come quando poco più che adolescente, a Copenaghen, ebbi l'ardire e lo stomaco di entrare in un ristorante italiano e mangiare gli spaghetti alla bolognese, che a Bologna non esistono neppure, con risultati indecenti (ma in quella vacanza andavamo avanti a botte di hotdog e ne avevo nausea).

Provare quella che oggi si chiama cucina del territorio fuori dal territorio medesimo è sempre un atto di fiducia verso il prossimo e verso la vita stessa, una fiducia non sempre ripagata, ovvio.

Quando poi parliamo di pizza, con tutte le polemiche che 'sto piatto ogni volta scatena tra gli integralisti napoletani e le guide che a volte assegnano premi ben più su del Volturno, la questione si fa scottante (come del resto dev'essere una buona pizza, napoletana e non).

Non sono tra quelli che ritengono la pizza napoletana l'unica vera pizza, primo perché anche a Napoli ho mangiato pizze tremende, secondo perché qui nella bergamasca ho assaggiato pizze ben superiori a molte della mia città d'origine, come quella di Luigi Iorio Esposito, e terzo perché anche la pizza non napoletana può essere buonissima, vedi il Castello di Cividate al Piano.

Ovviamente, Il sogno di Pulcinella si professa ristorante di cucina partenopea, decanta come sua specialità il pesce e come arma di diffusione di massa del gusto la pizza, normale o a metro.

Con passo guardingo, dunque, sono entrato nel locale a Boccaleone, sotto i portici di un caseggiato postmoderno di una bellezza discutibile.

In questo caso, essere napoletano ha il vantaggio di ricollocare il locale-pizzeria in un modello di riferimento: la vera pizzeria napoletana non è quasi mai un luogo ameno, pochi tavoli, niente coperto, atmosfera spartana, ma tanto sei lì per la pizza e non per i belletti.

Perciò, proprio non m'interessa parlare di questo ristorante sotto altri punti di vista se non quello dei piatti dell'offerta che partiva da un aperitivo di benvenuto, passava a un tris di fritti, si attestava su mezzo metro di pizza a due gusti, accompagnata da una bibita qualsiasi a scelta e da un dolce della casa.

sabato 26 gennaio 2013

Incavolarsi per una panzanella!


Sì, perché quando si presentano ricette online bisogna stare attenti agli integralisti che creerebbero volentieri una sorta di SIAE della gastronomia.

È senz'altro vero che piatti cucinati con un certo grado di elaborazione hanno una versione più o meno ortodossa, dalla quale non è che non sia consentito uscire, ma dichiarare che si tratta di una variazione sarebbe doveroso.

Però, per il mondo delle insalate, dell'assemblaggio di ingredienti freddi, accostati secondo il fattore comune della freschezza, si rischia di pretendere che oggi dovremmo buttare via la musica digitale per tornare ai grammofoni.

Quando leggo che la panzanella non dev'essere una preparazione svuota-frigo mi chiedo quanto ci siano e quanto ci fanno i detentori di questa posizione, visto che la panzanella si basa sul recupero del pane raffermo: non era dunque svuota-frigo perché il frigo non esisteva, ma era senz'altro svuota-dispensa e razzola-orto, come tutte le fonti dimostrano.

In conclusione, io sarò sempre favorevole a qualsiasi tradimento della presunta tradizione, se gustoso, e rigetterò con altrettanta convinzione ogni piatto tradizionale mal fatto.

Mi avanza del cavolfiore al vapore, ho dei pomodori secchi che sono un miracolo, spendendo qualcosa in più il tonno sott'olio può rivelarsi sorprendente, insieme a capperi, olive, cetrioli, generosità d'olio extravergine e aceto e soprattutto il mio pane cafone fatto in casa.

Altro che pomodori, cipolla e basilico, buonissimi pure loro ma a gennaio è dura procurarseli.

venerdì 25 gennaio 2013

Groupon Adventures: da Rossovino vince la carne argentina


Sebbene la bottigliona dipinta erga a protagonista il vino rosso, non è su questo nettare che fa leva l'offerta di Rossovino, a Curno, bensì su corposi giropasta e fumanti grigliate di vera carne argentina, che insieme alla pizza sono senz'altro la punta delle offerte più gettonate su Groupon.

Non che il Valcalepio Medolago Albani non fosse buono - e del resto, il calice dichiarato come Negroamaro del Salento, che in carta non c'era neppure, non ci ha convinti - , ma i riflettori sono puntati su ciò che si mette sotto i denti più che su ciò che si versa nei calici.

Il ristorante infatti alletta la marea di clienti senza nascondere il suo target costruito sul censo: menù da 15 e da 20 € per almeno dieci tipi di paste differenti e una tagliata o una grigliata mista, costo che con il deal di Groupon si dimezza.

mercoledì 16 gennaio 2013

Dessertmania: crema al cioccolato bianco e pistacchi


Non sempre l'unione di due cose buone di per sé produce necessariamente qualcosa di ancor più buono, ma stavolta m'è andata bene.

A dire il vero, le cose buone unite sono tre: la crema pasticcera, il cioccolato bianco e i pistacchi.

Un dessert di estrema facilità, ma buono secondo la regola dell'inversamente proporzionale.

Per precauzione, la base di crema è senza zucchero, dacché il cioccolato bianco ne ha a iosa.

Il guizzo del pistacchio, infine, instilla quel salino che va a contrastare come meglio non si può.

Magna Grecia: il moussaka


Punto primo: è IL moussaka, sebbene quella a faccia scattare l'abitudine alla morfologia italiana che identifica in quella vocale la desinenza femminile.

Finita la mini-parentesi linguistica, veniamo al piatto.

Il novantanove virgola nove per cento della cucina greca è mediterranea in senso stretto, cioè basata su ingredienti localissimi e trasformati poco o nulla, e i greci cominciano sin dal primo mattino con pomodori, olive, yogurt e frutta secca senza troppe alterazioni.

Tuttavia, come per le altre culture gastronomiche affacciate sullo stesso mare, c'è una percentuale di piatti con un grado di elaborazione perfino estremo, con almeno due o tre cotture preparatorie prima dell'assemblaggio finale.

Basti pensare ai mitici dolmades nei quali le foglie di vite sono cotte, il riso è cotto, il condimento è cotto, poi si fanno gli involtini e il tutto si ricuoce, per tempi anche consistenti.

Il moussaka rientra nel novero dei piatti ultraelaborati: melanzane fritte, ragù speziato, salsa che si potrebbe definire besciamella, se non fosse per l'uovo che serve a rassodarla oltremodo, perché ai greci piace che il moussaka abbia in superficie un bel mezzo centimetro di strato bianco cremoso, e non una besciamella liquida, il tutto da ripassare in forno anche per un'ora.

Per alcuni sorgerà una domanda naturale: e la patata?

Il mio primo moussaka, in un ristorante di cucina greca a Napoli, vedeva le melanzane alternarsi alle patate.

Il mio secondo moussaka e anche le mie prime realizzazioni di questo piatto si attennero a questa versione patatosa.

Ma che dico?

Perfino a Rodi, l'anno scorso, ho mangiato il moussaka con le patate.

Eppure le patate nella ricetta originale non ci sono.

Non ne faccio un dramma, volendo uno potrebbe esagerare e metterci pure le zucchine, in fondo è difficile che non riesca buono un piatto simile.

A mio parere però la differenza la fa tutta il ragù: la cottura non è lunga come le versioni italiane, ma la foglia d'alloro e la grattata di cannella sono un'impronta unica in grado di farti capire che non è un piatto italiano, sicuramente vicinissimo a noi, ma con la sua storia che non va confusa e sovrapposta alla nostra, e basta col dire che in fondo il moussaka non è altro che una variante della parmigiana o delle lasagne perché non si può sentire!

La ricetta è la stessa che trovi in Le relazioni culinarie di Andreas Staikos, insieme a tante altre ricette semplici e gustosissime del mondo greco, alternate a un raccontino che si spaccia per romanzo senza riuscire a farla franca.

venerdì 11 gennaio 2013

Noter de Berghem: i margottini


Quando le goccioline di nebbia prendono il sopravvento e un grigio lattiginoso fa da tema predominante alla tua giornata, capisci meglio, in modo più viscerale di quanto tu possa fare razionalmente, perché e come si sviluppa una cultura gastronomica.

In una giornata così, come quella presentatami stamattina, il mio terzo occhio - quello che punta a tavola - vede comparire istintivamente fusioni di formaggi, fumi di caldi intingoli, odori dolci e avvolgenti che si plasmano in sentori grassi sulle papille gustative immaginarie.

Non ti verrà mai in mente la mozzarella, le melanzane, il basilico, ed è ovvio che il discorso vale al contrario per chi risiede in luoghi più miti, come me in passato.

Il motivo per cui è il caso di fare territorio anche quando cucini a casa tua è che difficilmente stonerai col tuo piatto rispetto al clima e all'ambiente circostante.

La cucina bergamasca, poi, è un tesoro nascosto, se solo si ha il coraggio e la curiosità di andarlo a scovare.

Ogni valle ha il suo modo di fare la polenta, le sue verdure tipiche, i suoi stufati e arrosti tradizionali, insieme a tante altre delizie trasversali, dai monti alla bassa pianura, che con pochi ingredienti originari, come le farine, le carni, gli ortaggi da fiore e da fusto e soprattutto gli innumerevoli formaggi, formano un ricettario di tutto rispetto che merita di essere onorato.

Così, per chi si aspetta piatti tendenzialmente grevi, ecco spuntare un gioiellino come i margottini, piccoli sformati - il nome deriva da margot, ossia lo stampo simile a quello per panna cotta e tortini - di semolino con un cuore di tuorlo d'uovo, impreziositi da formaggi sapidi e stagionati.

Trovo curioso l'uso del semolino nella terra del mais, ma i bergamaschi non sono nuovi a queste sorprese: anche la cosiddetta polentina, che in realtà si chiama bolfadei, viene fatta con l'ottanta per cento di farina di frumento e solo uno spruzzo di mais, prima di essere versata bollente nel latte, che invece dev'essere freddo.

Il mio margottino perciò si butta decisamente sul territorio, visto che ho della buonissima farina di mais Quarantino, e pazienza se invece di un buon Branzi mi arrangerò con Roquefort o Tomme de Savoie, qualcosa mi dice che la mia giornata invernale ne sarà confortata ampiamente, soprattutto se l'accompagno con un rapido ragù di cotechino (ma quando finiscono 'sti avanzi?!).

L'insalata che non russa

Le feste sono appena trascorse e a qualcuno sembrerà siano passati mesi.

Forse è la sensazione che dà l'aver finalmente smaltito gli eccessi di pranzi e cene tra Natale e Capodanno più avanzi da far fuori.

Su quante tavole italiane, anche quest'anno, per le sante ricorrenze, le mamme, le nonne o le zie non avranno fatto mancare la mitica insalata russa?

Qualcuno vocifera che abbia gli stessi poteri beneauguranti delle lenticchie con il cotechino, ma al di là della superstizione, è uno di quei piatti oggettivamente buoni e tuttavia bistrattati per la loro pesantezza e malvisti perché in grado di andare a male, o peggio ancora di nascondere ingredienti non perfettamente integri.

E quando mai prendiamo l'insalata russa al ristorante, a meno che non si possa mettere la mano sul fuoco circa l'integrità del ristoratore, come ho fatto io da Teresina?

Invece, dovremmo fare lo sforzo di riaccostarci a questa bontà, sia perché fulgido esempio del binomio semplice da fare-buona da mangiare, sia perché il principio su cui si fonda offre molti margini alla creatività.

La leggenda vuole che al ristorante Hermitage di Mosca, in pieno diciannovesimo secolo, Lucien Olivier in qualità di chef inventasse questa leccornia, facendo ampio uso di carni e frattaglie fredde, oggi indegnamente sostituite da dadini di prosciutto cotto o pezzetti di wurstel, ma c'è anche chi si butta sul tonno.

Quasi tutti però la fanno soprattutto senza carni, spaziando tra patate, rape, piselli e carote.

Credo che il cetriolo e l'aneto siano d'obbligo per un'insalata russa ortodossa, nel vero senso del termine: in Russia infatti non esiste festa del nuovo anno che non sia festeggiata a cucchiaiate di insalata toponima.

E a proposito di toponimo: fa sorridere che in molti paesi esteri, la Russian salad sia chiamata Italian salad, come mi è capitato di leggere nei paesi scandinavi.

Veniamo al versante creativo.

Se l'insalata russa si può truccare con della frutta - agrumi, per esempio - alleggerendo e inacidendo la maionese con dello yogurt, in Italia la sua rivisitazione più recente e celebre è senz'altro quella di Cracco, che ne prende una cucchiaiata - perché di più è pesante, ipse dixit - e la chiude in due dischi di zucchero, che poi fonde insieme formando una caramella.

Io che il dolce lo amo veramente e mi riservo la temerarietà almeno a tavola, ho spinto di molto l'acceleratore, guarnendo le mie verdure da insalata russa con una salsa di yogurt e cioccolato bianco.

Groupon Adventures: dritti dritti nella Tana

Inizio dell'anno fitto fitto per le Groupon Adventures, e a fare da apripista c'è il menù  con fiorentina de La Tana di Bergamo.

Piacevolissima serata primaverile, nonostante sia gennaio, amabile la passeggiata in discesa per tutta via S. Lorenzo, nella cui valle si trova il ristorante con la sua location da rifugio di mattoni e camino.

A proposito di camino, entrando vediamo subito pezzi di manzo per tagliata e lombate per la fiorentina in cottura, almeno assisteremo alla cottura della nostra in diretta.

Per due persone, a 39 € invece che 114 - aridaglie! - una fiorentina di chianina da un chilo e cento, oltre a bollicine di benvenuto, antipasto, contorno, dolce, acqua, calice di vino e caffè.

Se il calice di vino è Chianti, allora è il caso di restare in tema toscano, così optiamo per un Classico Castello di Cacchiano che fa il suo dovere senza sorprese.

E che ci mangiamo vicino?

venerdì 4 gennaio 2013

Quando l'avanzo fa rima col pranzo

Cena della vigilia, pranzo di Natale, cenone del 31, pranzo del 1 gennaio...

Le feste restano indissolubilmente legate alla tavola, come luogo conviviale, capace di riunire affetti lontani e nuove conoscenze.

Un rito per il quale ci prepariamo per tempo, usato anche dai ricercatori per misurare l'andamento dei consumi della popolazione.

Ogni regione e quasi ogni città italiana hanno il proprio menù tradizionale delle feste e tutti prevedono un gran dispendio d'energie e di ingredienti.

Per questo è del tutto normale che da queste mega-tavolate avanzi un mare di cibo al quale bisogna assolutamente rendere onore.

Ma come?

Innanzitutto, consumando gli avanzi nei giorni seguenti le feste: in fondo i brodi come le lasagne, le minestre o le insalate di rinforzo, i pesci fritti da conservare in carpione, il cotechino con le lenticchie e soprattutto panettoni e pandori non si alterano minimamente se consumati il giorno dopo.

L'unico problema è la ripetitività.

Rimangiare le stesse cose già gustate in pranzi e cene occasionali può essere meno allettante quando di quelle pietanze se n'è fatta una bella scorpacciata.

Tuttavia, non si possono conservare in eterno e aspettare che la mente e il corpo si siano resettati, per poi ricominciare.

Prescindendo dalle festività, gli avanzi vanno sempre riutilizzati fino all'ultima briciola, perché solo così riconosciamo l'enorme importanza del nutrirci, del nutrire e del piacere di gustare.