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mercoledì 28 dicembre 2016

Anche a Bergamo è Bella Napoli


Dev'essere abbastanza curioso per il turista che in questi giorni passeggia per Bergamo addentrarsi nel centro storico, cominciando da piazza Pontida e risalendo via Sant'Alessandro per puntare alle strade verso Città Alta e imbattersi all'improvviso in un angolo di Napoli, al civico 28a, dove da pochissimo ha aperto Bella Napoli, pizzeria e ristorante.

Va infatti sottolineato che in questi giorni di festa le nostre città d'arte - e Bergamo col suo centro antico lo è a pieno titolo - sono zeppe di turisti, ed è ovvio che i ristoratori cerchino di accogliere con prontezza le frotte di gente a passeggio, allettandoli con le più disparate offerte.

La curiosità principale che mi riferiscono Mario Viscardi, Enzo Di Tavi ed Emilio Preda - che hanno dato vita al Bella Napoli - è il fatto che in questi primissimi giorni sono proprio i turisti stranieri a sedersi volentieri ai loro tavoli, e ben si capisce, perché se è vero che una delle principali "calamite" italiane è la cucina, è altrettanto vero che nel panorama nostrano quella napoletana ha qualche freccia in più al suo arco, vuoi perché basata su ingredienti che fanno centro, vuoi perché confortevole e tendente all'abbondanza, vuoi soprattutto perché ci si può giocare la carta della pizza che per un avventore a passeggio vuol dire un piatto veloce ma nello stesso tempo sostanzioso, facile da mangiare ma nello stesso tempo appagante nel sapore.

Bella Napoli non è un tentativo di clonazione bergamasca di un locale napoletano, ma un vero e proprio avamposto partenopeo in terra orobica, perché l'intero staff viene dal Vesuvio, dal quale ha portato il concept e la sapienza artigiana, l'inventiva e la capacità di adattamento.

Forti di altre esperienze e start up felici, i ragazzi del Bella Napoli sono pronti a rappresentare in piena Bergamo un rifugio ameno per i napoletani emigrati come il sottoscritto, ma soprattutto sapranno accogliere - nella sala graziosa e accogliente di cui si prende cura Mariano Messina - i tanti bergamaschi ormai infatuati dai sapori campani - orchestrati con sapienza da chef Ciro De Martino - dalla freschezza di mozzarelle e ortaggi, dalla succulenza di ragù e parmigiane di melanzane, dalla brezza marina dei frutti di mare che si sposano ai legumi, e soprattutto da una pizza egregiamente eseguita, grazie alla forte scuola di provenienza del pizzaiolo Foyzz, che dal Bangladesh è venuto a rimboccarsi le maniche, imparando a dar forma a un impasto magistrale.

martedì 25 ottobre 2016

Sant'Orsola a Ciserano: l'identità napoletana dei fratelli Moccia


Per un napoletano al nord, trovare un po' di Vesuvio ai piedi delle Orobie risveglia una gioia dal sapore primordiale.

Non si tratta di facile sentimentalismo, ma di un sentimento vero di riconoscenza, non solo nel senso del ringraziare chi è capace di portarmi un pezzetto di Napoli quassù, ma anche di riconoscere l'autenticità della cucina e di chi la fa.

Trapianto riuscitissimo, quello dei fratelli Francesco e Marco Moccia a Ciserano, con il loro Sant'Orsola Pizzeria & Trattoria, che non si limita a ricreare atmosfere partenopee ma costituisce una vera e propria trattoria e pizzeria di origine più che controllata, con la semplice differenza di collocarsi nella bassa bergamasca invece che a Napoli e dintorni.

Perché alla base di questo progetto non c'è la semplice idea imprenditoriale di proporre una cucina targettizzata che va a incontrare il vasto pubblico di emigranti napoletani in Lombardia, nonché di appassionati di quei sapori.

Infatti, quasi tutti i locali che vantano di riprodurre i piatti e i gusti partenopei sono poi nei fatti ben lontani dal raggiungere a volte la benché minima somiglianza nei risultati, e finisci per trovarci sempre la nota stonata, l'adattamento, il deficit che viene sempre giustificato con gli 800 km di distanza a impedire di replicare in toto l'identità  culinaria napoletana.

Qui a Ciserano, invece, siamo davanti a una vera e propria garanzia sull'identità, perché Francesco e Marco Moccia hanno le mani in pasta e i piedi in cucina da tre generazioni, e il locale di famiglia a Napoli viaggia ancora a pieno ritmo ai Colli Aminei.

Ben consapevoli del peso ma anche della forza della tradizione che portano sulle spalle, Francesco in sala, Marco al bancone e al forno, e tutto lo staff importato direttamente dal golfo della sirena Partenope danno vita non solo a una trattoria e pizzeria dall'inconfondibile profilo napoletano - nei sapori, nel menù e soprattutto nella cordialità e nel calore che in sala Mariano e gli altri sapranno regalarvi - ma a un luogo che per un napoletano sa di nostalgia buona, che rimette in contatto con l'anima profonda di un popolo sicuramente ancora martoriato ma che continua a costituire un unicum in fatto di esaltazione della gioia di vivere.

Gioia che suscita risate scaramantiche fin dai tavoli, i cui numeri sono associati ai significati della smorfia napoletana che campeggia sulla parete, assieme alla foto del nonno paterno e di quello materno, che diedero l'imprinting a una famiglia di ristoratori di cui i due fratelli sono fertile progenie.

Col piacere floreale procurato dall'accompagnamento del Coda di Volpe Janare de La Guardiense, Francesco e Marco fanno partire il fuoco di fila delle loro gustose attenzioni.

mercoledì 25 giugno 2014

Cucinare secondo le stagioni: parmigiana di zucchine


Premessa l'intoccabilità della parmigiana di melanzane, semel in anno licet coquinare quella con le zucchine, anche soltanto perché l'estate porta al loro meglio questi ortaggi.

In realtà, ne avevamo già parlato qui, le fonti attestano come parmigiana originaria, la ur-parmigiana, proprio quella di zucchine, antecedente alla diffusione del pomodoro, e insaporita con un intingolo di uova e formaggio che si identifica come condimento alla parmigiana.

La diffusione della variante con melanzane e pomodoro ha fatto sì che anche la versione con le zucchine alla fine si prepari quasi come la sua sorella più famosa.

Ed è un quasi di non poca importanza: infatti, nella parmigiana di melanzane napoletana le melanzane subiscono una frittura diretta, mentre già allargandosi alla provincia si diffonde sempre di più l'uso di passare le fette di ortaggio nella farina e nell'uovo.

Questa discrepanza, invece, non esiste per la parmigiana di zucchine, che anche a Napoli si fa ufficialmente friggendo le zucchine solo dopo averle infarinate e immerse nelle uova sbattute.

La zucchina però non è la melanzana: non puoi lasciarla spessa, altrimenti assorbirà l'olio di cottura; se la tagli a dovere ti troverai una montagna di fettine di zucchina da dorare e friggere, e quindi un lavorone anche più grosso dell'altra; il suo sapore non è intenso come quello della melanzana, e laddove nell'altra prevalgono acidità e amaro, la più tenue zucchina rischia di sparire accanto al saporito formaggio e al dolce pomodoro, motivo per cui bisogna farne una quantità industriale e stratificare molto di più la preparazione.

Tuttavia, il risultato è così sorprendente che vale veramente la pena affrontare il cimento e regalarsi questa delizia, omaggio alla bellezza del mondo nella calda stagione.

Rossopomodoro, sognando Napoli


Associare la tradizione, qualsiasi tradizione, alla catena di (ri)produzione non è impresa leggera.

Ma la pizza è piatto troppo famoso, goloso e popolare per non essere oggetto di simili tentativi, e non da poco tempo.

Rossopomodoro infatti è l'evoluzione di altre iniziative che, dopo aver visto la luce a Napoli città, si sono pian piano diffuse sul territorio nazionale, con sedi importanti a Roma e a Milano, e poi hanno ampliato le loro mire espansionistiche, per diffondere la cultura gastronomica partenopea ed esportare la pizza napoletana.

Anche nel cuore di Bergamo, nella centralissima via Angelo Maj, da più di un anno Rossopomodoro ha trovato il suo avamposto per affascinare i palati orobici con le delizie partenopee, puntando però anche sugli onnipresenti napoletani emigrati che naturalmente non mancano mai all'appello.


In un mezzogiorno che si annuncia infuocato, la sala che fa il verso alla popolarità, con il legno e il bianco, e tuttavia si inserisce nel contemporaneo con le vetrate, è pronta a ospitare lavoratori, pendolari, buongustai, turisti e chiunque abbia voglia di assaggiare le specialità napoletane.

Il menù è strutturato in maniera accorta alle nuove sensibilità: prodotti selezionati, non scontati, abbinamenti interessanti senza essere astrusi, pizze pienamente tradizionali e pizze che valorizzano le peculiarità territoriali, grazie anche a prodotti artigianali e presìdi Slow Food.

Accetto di virare sulla birra - Peroni riserva - gioco forza, dato che oltre al vino della casa - eccessivamente dolce per una cosa succulenta come la pizza - mi viene proposta solo un'etichetta troppo tannica mentre di quello che sarebbe stato ideale, cioè il Gragnano, ce n'è solo una mezza bottiglia da esposizione e sono in attesa di arrivi miracolosi.

sabato 19 aprile 2014

Una Pasqua speciale: casatiello e pastiera


Sarò controcorrente, forse, ma da un punto di vista gastronomico, preferisco di gran lunga la tradizione pasquale a quella natalizia.

Il Natale, così intrecciato a dinamiche commerciali - una volta si diceva consumistiche - ha visto mescolarsi le tradizioni locali, focalizzarsi soprattutto sulla produzione dolciaria, nazionalizzando i classici dolci da forno e quasi del tutto cancellando o mettendo fortemente in sordina le altre specialità italiane legate alla natività.

La Pasqua invece, ancora libera da forti condizionamenti economici, vede trionfare le specialità regionali, le specificità, i menù tradizionali, e anche chi non ha piatti specifici legati a questa festa, la vive comunque come festa, preparando il piatto principe della propria tradizione.

Forse la tradizione culinaria regionale più forte d'Italia legata alla Pasqua è proprio quella napoletana, e non è affatto strano.

La vocazione rurale e agricola della Campania è roba di millenni, anche se deturpata da un secolo e più, ma le tradizioni per fortuna arrivano sempre da tempi migliori e sono in grado di resistere alle decadenze.

Mettendo da parte la cucina, e quindi la preparazione di paste, carni, verdure, che pure rientrano nei menù tipici di questo periodo e di questa zona, gli emblemi sono senza dubbio il casatiello e la pastiera.

Sorta di pane rustico il primo, dolce contadino sopraffino la seconda, hanno la capacità di raccontare le loro origini, i loro contesti di nascita e sviluppo, e soprattutto le ragioni del loro duraturo successo.

mercoledì 25 dicembre 2013

Se no che Natale è? Gli struffoli


Da bambino consideravo gli struffoli un dolce da adulti.

Era da adulti nel senso che io non riuscivo ad apprezzarli, per cui li lasciavo ai miei genitori e alle persone grandi che nei giorni delle festività natalizie passavano per casa.

I bambini, si sa, hanno gusti grossolani e, sebbene gli struffoli non manchino di dolcezza - cioè del primo sapore che l'essere umano è in grado di riconoscere - tuttavia al mio piccolo palato ingenuo non risultavano golosi come il pandoro o le creme.

Crescendo ho imparato a riappropriarmi delle mie tradizioni, che in occasione delle due grandi feste religiose cristiane - Natale e Pasqua - danno veramente il meglio di sé.

Tant'è vero che ieri - il 24 dicembre - a pranzo ho ovviamente pasteggiato a pizza di scarole, mentre per il pranzo del 25 regalo ai miei acquisiti bergamaschi il dolce tradizionale napoletano del Natale: gli struffoli.

I miei viaggi mi hanno fatto già da tempo riconoscere la strettissima parentela con le miriadi di preparazioni a base di paste fritte e passate nel miele, che in tutta la circonferenza del Mediterraneo non fanno mancare la loro presenza.

La stessa combinazione, per esempio, la si ritrova nelle cartellate pugliesi - anch'esse tipiche del Natale - o in diverse preparazioni elleniche, ma anche sulla sponda maghrebina la tradizione di dolcetti di pasta mielata abbinati a frutta secca domina la festa dell'interruzione del ramadan, e nei giorni immediatamente precedenti i mercati si affollano di rivenditori di dolcetti e le folle si sbrigano a farne incetta perché arrivare alla festa senza sarebbe quasi un sacrilegio.

Non difficili da realizzare, gli struffoli però richiedono tempi e organizzazione efficace.

Sono grato alla mia compagna, non solo per come rende migliore la mia vita, ma anche perché senza di lei al reparto frittura e decorazione - mentre io impastavo, struffolavo e tagliavo le palline - sarebbe stata dura prepararli.

E buon Natale...

lunedì 24 dicembre 2012

Se no che Natale è? 'A pizza 'e scarole


Dieci anni fa, con mio enorme stupore, scoprii che qui in provincia di Bergamo della vigilia di Natale, intesa come occasione per festeggiare, non importa niente a nessuno o quasi.

Ricordo addirittura un mitico 24 dicembre a cena in un ristorante cinese, e tutti gli anni sento gli stessi odori di minestrine a partire dalle 18 dalle finestre dei vicini, come se il giorno in questione non avesse nulla di particolare.

Per fortuna, il pranzo del 25 è più che lauto e quindi accettare questo cambiamento non è stato poi così difficile.

Tuttavia, il napoletano che è in me ogni anno cerca di tener viva la memoria del 24 dicembre alla napoletana.

Quest'anno ho affidato il compito di memorandum alla pizza di scarole.

La mia tradizione vuole che si consumi durante il pranzo del 24 per tenersi leggeri in vista del cenone.

Concetto di leggerezza relativo, che mi fa capire come i tempi siano cambiati, visto che la pizza di scarole può anche essere tutt'altro che leggera e soprattutto una fetta tira l'altra, per cui finisci per spazzolare tutta la teglia e addio leggerezza.

La scarola è una variante dell'indivia, anche se a Napoli l'indivia è solo l'anagramma del quasi omonimo peccato capitale, e ha gli stessi sentori amarognoli di tutte le cicorie, ma molto più tenui.

Si fa stufare con una serie d'ingredienti che vogliono quasi esorcizzare il rischio della mancanza di sapore: c'è la componente salina delle acciughe-olive-capperi, e quella dolce dell'uvetta-pinoli.

Io ci metto anche il peperoncino e chiudo tutto nella pasta del mio pane, con l'aggiunta di una generosa oliatura.

Se no che Natale è...