domenica 22 febbraio 2015
Gourmet in trasferta: lettera alla figlia di un pizzaiolo
'e pizze ca veng' io nun songo 'e stesse ca vuje truvate dint' 'e pizzerie
songo cchiù prufumate d' 'a 'nanassa e adinto ce sta tutto 'o bbene 'e Ddio
Cara Maria,
una settimana fa sono arrivato a via del Grande Archivio e ho varcato quella porta sotto la scritta La figlia del Presidente col pensiero di entrare in una pizzeria - la tua - per poi raccontarne le caratteristiche, il gusto della pizza, la bontà, accennare agli ingredienti, descrivere il locale e chi lo gestisce e così via.
Cose da recensione, insomma, le solite, che non guastano, ma che per me spesso sono limitanti.
Così mi sono lanciato nel contattarti per vedere se anche questa, da semplice visita a un locale, potesse diventare esperienza.
Come ti dissi nel messaggio per scambiare due parole...
Le due parole sono diventate una calorosa chiacchierata, con te seduta al tavolo, manco ci eravamo mai visti e c'era necessità di chiedere ancora conferma del nome (Sergio, vero? mi hai detto un paio di volte), eppure lì già dopo pochi secondi non c'erano più il reporter e l'esercente o il blogger e la pizzaiola, perché da quelle tue due parole si è aperta una porticina che dà direttamente nella casa dei tuoi sentimenti, con una vocina che mi invitava, trase, assèttate ccà...
'E pizze meje so' 'nu capolavoro, e songo degne pure 'e nu regnante
ma dato ca io so' troppo bbona 'e core 'a faccio overo bbona a tutte quante
Mentre riascolto più volte 'A pizzajola con la voce suggestiva di Maria Paris, tentenno a scrivere, perché altre emozioni, al di là del gusto e del sapore della pizza, mi toccano.
Adesso non sto a dirti perché personalmente mi commuove così tanto vedere traspirare dalla tua persona l'amore filiale, muliebre e materno, ma chiunque al posto mio avrebbe colto dai tuoi racconti, dai tuoi ricordi e forse anche da certi rimpianti cui hai accennato, quant'è forte il senso della famiglia, della fedeltà a certi principi, e della caparbietà nel difenderli che ti contraddistingue.
Difficile potesse andare diversamente, perché tuo padre - Ernesto Cacialli, il pizzaiolo del Presidente - ha trasfuso in te un concentrato di amore e serietà, di dedizione al sacrificio e di fierezza, di umiltà d'animo e capacità d'agire che hanno funzionato su di te come una chiamata.
Dov'è adesso Ernesto?
Si sopravvive, anche dopo essere andati via, nelle scintille che lasciamo ai nostri cari, e si torna più vivi quando da quelle scintille di nuovo il fuoco avvampa.
Così hai fatto tu, quando ti sei decisa a onorare papà marcando la tua discendenza sin dal nome della tua pizzeria, La figlia del Presidente, con la forza del sostegno di Felice tuo marito, di nome e di fatto, è il caso di dirlo.
Bellissimo quando mi ha detto che il suo ricominciare da zero era - se vogliamo - un po' più zero del tuo, perché lui di cognome fa Messina e non Cacialli, a testimonianza di quanto la cifra dell'umiltà del suocero abbia contagiato anche lui.
Ho quasi tremato quando Armando, tuo figlio, si è avvicinato al tavolo per farti una comunicazione e, dopo che tu ci hai presentati, con un gesto misurato, di quelli che raccontano la vera grandezza dei modesti, mi ha fatto uno sguardo trasparente e ha allungato il dorso della mano, solo il dorso perché il palmo era appena uscito dalla farina e dal contatto con la pasta della pizza, e in quel gesto misurato, in quel modo silenzioso di rispettare un ospite mi illudo di aver visto anche in lui il seme di Ernesto germogliare.
Le mani intrise di pasta che resta azzeccata, le mani che rimboccano le maniche, le mani tue mentre mi fai vedere come si riconosce uno che non ha mai lavorato, che appoggia le dita come una ballerina, rispetto alle tue, di mani, che con un guizzo ai limiti del pittoresco definisci 'e fravecatore.
Sì, Maria, c'è anche il fravecatore in te, perché 'o fravecatore costruisce, tira su le mura e il tetto per fare la casa, questa casa nella quale mi avete fatto stare come se i sessanta minuti di tempo dai quali avevamo cominciato a parlare fossero sessant'anni.
E c'è la donna fiera, che oltre alle mura di casa ha anche innalzato qualche bastione per proteggersi dagli sciacalli del nome del padre, nella guerra che è ogni giorno stare in mezzo ai decumani a Napoli.
La figlia e la moglie, il marito e il padre, il figlio e il nipote, Maria, con Felice e Armando, una famiglia vera, che non si inventa discendenze solo per aprire un'antica pizzeria che di antico ha solo l'aggettivo qualificativo e le mura dei palazzi intorno, quelle sì sono antiche.
Quelle in cui papà Ernesto ha assorbito arte e semplicità, maestria e riservatezza, tradizione e sobrietà.
Una costellazione di ricordi illumina queste mura che avete innalzato, e papà Ernesto riluce e si riverbera, in scatti per lo più rubati, lo si vede che si presta allo scatto ma che per lui stare a suo agio voleva dire impastare, ammaccare, conciare, infornare, friggere, in una parola servire, perché essere al servizio è una delle missioni più difficili e nello stesso tempo nobili dell'essere umano.
Ah, se papà fosse stato più furbo si sarebbe fatto fotografare quando andò a fare la pizza direttamente al Papa, o quando Ferran Adrià lo invitò a mostrargli la grande dignità del cibo di strada a casa sua.
Ma poi tu lo sai che queste cose si dicono per reazione, perché oggi uno sbuffo su Facebook sembra valga più della capacità di fare una pizza veramente buona, e un flash di popolarità - ma quanto dura, Mari'? - pare sia più importante degli anni che ci vogliono a formare una famiglia che si vuole bene.
Impresa ardua, conservare il bene familiare, perché a volte le peggiori mazzate possono arrivare proprio da chi sta più vicino.
Papà c'è, anche se nella tua bellezza si scorge quella vibrazione di quando è andato via, e come potrebbe essere altrimenti?
Eppure l'uomo pieno di riserbo, restìo a esporsi, al polo opposto della vanità, poco più di vent'anni fa si rese protagonista di quel guizzo inatteso, tirando fuori tutta la faccia tosta che mai gli si sarebbe attribuita, acchiappando a Bill Clinton e tirandoselo verso la pizzeria per mettergli in mano una bella pizza a libretto che poi ha fatto il giro dei media di tutto il mondo e continua a girare.
Ognuno di noi si trova in certe circostanze di fronte al classico treno che passa e che non torna più, e non resta che provare a saltarci sopra o rassegnarsi.
Ernesto alla fine ci è salito, chissà quante mazzate ha incassato dai body guards ma ha tenuto duro, con la tenacia che si vede e si sente in te e nella famiglia Messina-Cacialli.
Ora che l'altra Maria, la Paris, è arrivata alla fine della canzone, mi piace fantasticare che quelle parole in chiusura del ritornello sia tu a cantarle, con la vitalità che ti ha fatta apprezzare - e magari anche mal sopportare da qualcuno, ma sai che te dico? Futteténne! - e oltre al ricordo della pizza, della generosità, dello stare in famiglia che Armando, Felice e tu stessa mi avete fatto sentire, mi piace conservare l'esempio di coraggio e dignità che portate avanti.
Con infinita stima e affetto
Sergio Cima
'Sti pizze nun so' pizze, songo 'na rarità
pruvatele, assaggiatele, ve faccio cunzula'
"Pizze cavere, chi ne vo'?"
"Tutte quante, pizzajo'!"
La figlia del Presidente
via del Grande Archivio 23
80138 Napoli
tel. 081 286738
Chiuso Dom
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Il tuo stile è da romanzo.... io ci penserei!
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