domenica 30 novembre 2014

Al b3, il paradiso degli Châteauneuf du Pape

Sono passati settantasette anni da quando il barone Pierre Le Roy e gli altri viticoltori di Châteauneuf du Pape e dintorni presero la felice decisione di creare una bottiglia unica per il loro vino.

Legato sin dal XIV secolo al volere e ai capricci dei papi della cattività avignonese, il vino che ne prende il nome - e la solennità - da allora è armato di tiara papale e chiavi di San Pietro, come a significare che ha il potere di aprirti le porte del Paradiso.

E ieri sera, al b3 di Daniele Cumini, di bottiglie armate e di porte paradisiache se ne sono aperte, con gli Châteauneuf du Pape dell'attenta selezione targata Top-Wine.



Annunciato già da una ventina di giorni, l'evento è nato proprio da una scintilla di puro gusto, quella che lo chef Daniele ha visto accendersi dopo aver provato i vini del Domaine De Cristia che, insieme a un'altra importante parcella della zona, agli Champagne Billiot e al Sauternes Rieussec, hanno fatto da trampolino per la sua creatività.

Un territorio poliedrico, quello degli Châteauneuf du Pape, che vede avvicendarsi sabbia rossa, ciottoli, calcare e piccoli rilievi, nei quali le uve, soprattutto la Grenache, sono in grado di sviluppare caratteristiche che, miscelate con competenza, producono vini dal frutto inconfondibile, intensi ma eleganti, e soprattutto capaci di performance d'invecchiamento quasi inverosimili.

Una finissima cena che nel cuore si rivela anche un'istruttiva esperienza degustativa, nell'incontro dei piatti pensati da Daniele Cumini e dei vini abbinati da Alfredo Leoni.


Il brut réserve Billiot è uno champagne che ti fa dire subito io andrei avanti solo con questo per tutta la serata.

Eleganza e delicatezza, per una bottiglia sboccata a ottobre, il che lascia fantasticare su che cosa diventerà tra qualche tempo.

Un perlage minuto segna il tempo nel calice che, dal colore, rivela sfumature insolite, quella luce diversa che è in grado di fornire il pinot noir in bianco.

Una lezione di champagne canonica, dal profumo di lievitato all'effervescenza che permette a questo vino di incontrare grasso e sapidità di qualsiasi piatto senza perdere colpi.

E infatti, l'abbinamento è sul filo tra il mentale e il gustativo.

Speck del monte Cura e bottarga sta diventando un po' il simbolo della cucina ideale di Daniele.

Un unico comandamento anima le sue proposte: che la materia prima sia prima innanzitutto nella qualità.

Una volta trovati gli ingredienti che da soli sono in grado di dare il massimo al palato del commensale, Daniele non ci pensa minimamente a trasfigurarli, ma concentra la sua competenza sul puro accostamento, finalizzato a far esaltare reciprocamente gli elementi della portata.


A parametri invertiti, i sapori fondamentali si ritrovano anche in questo secondo antipasto.

La qualità estrema della fassona trova forza nella grassezza del mascarpone, mentre la riduzione agrodolce da vero alchimista dello chef crea un gioco di rimandi tra sapidità e sensazione tattile di freschezza, e questo piatto seriamente minaccia il primato del precedente.

La sintonia con il Côtes du Rhône Vieilles Vignes Rouge 2013 è forse l'unica della serata che presenta margini di perfezionamento.

Questo Les Garrigues di pura grenache che emerge dall'argilla viene fuori con un frutto ancora vigoroso, col suo viola netto, e una gradazione che la giovane età non ha ancora assestato.

Del resto, la caratteristiche dei vini di questa zona sta proprio nei diversi risultati che l'incontro tra l'uva e i vari terreni generano, e il Domaine De Cristia cerca di trasmettere questa diversità, tra le sue proposte, intesa come valore.

Bevuto indipendentemente dal piatto, infatti, Les Garrigues si fa conoscere per ciò che è, un vino netto, che non ammicca, non rinuncia alla sua franchezza né la maschera con l'aiuto del legno - solo cinque mesi in barile - ma che esalta il palato di chi ama frutti rossi e vinosità.


A nord ovest del Domaine de Cristia c'è una delle parcelle dai vitigni più antichi, La Guigasse.

Da qualche anno il proprietario, Peter Weygandt si è affidato al team del Domaine De Cristia, dando loro il compito di trasformare in Châteauneuf du Pape le uve di questa parcella e di un altro lieux-dit, Pignan, appena più a sud.

Solo tre ettari di suolo sabbioso, che sicuramente per la Grenache è l'ideale, ed ecco uno Châteauneuf du Pape che riassume le caratteristiche tipiche di questi vini.

Con la sua luce di rubino, ha sfaccettature articolate già al naso, che poi si dispiegano all'assaggio, ricco di tutti i pregi che l'incontro tra questo vino possente e i barili sanno produrre.

Per un vitigno che ha piante ultracentenarie, ci vuole un piatto che rechi in sé le vestigia di qualcosa di altrettanto antico.


Ed ecco arrivare, direttamente dall'antica Etruria, una varietà di grano unica a dare nerbo a queste fettuccine alla carbonara.

La pasta prima della cottura si presenta apparentemente delicatissima e passa in acqua bollente per pochi istanti, ma all'assaggio trasmette una tenacia stimolante, oltre che un gusto di spessore che la farebbero apprezzare anche senza alcun condimento.

Soprattutto, in questo piatto, si mangia uno dei sogni di Daniele, ossia servire quel cibo sano e perduto che sa di saggezza e nutre oltre che deliziare.


E anche sul secondo - che spesso per gli chef è occasione di dispiegare i propri armamentari per sparare botte di stupore - Daniele Cumini resta attestato saldamente sulla materia, con questa fassona cotta a bassa temperatura, deliziosa ed elegantemente sporcata dal tartufo di Spoleto.

Carne tenera perché di consistenza sana e non perché lasciata completamente cruda, risultato che si può ottenere solo se l'animale ha certe caratteristiche e l'allevatore è così saggio da non rovinarle.

E non c'è stato verso: nemmeno sotto tortura lo chef del b3 sarebbe disposto a dire dove l'ha presa, ma accontentarsi solo di mangiarla per noi non è poi così difficile.

Forse anche perché quello tra la carne e lo Châteauneuf-du-Pape Rouge 2012 Cuvée Vieilles Vignes è l'abbinamento che alla fine è risultato una spanna più in alto di tutti.

Da vigne di più di ottant'anni, una Grenache che fornisce vinosità e complessità, rispettivamente apportate da argilla e sabbia che insieme formano il terreno ideale.

Infatti, mentre il violaceo rivela il carattere ancora bambino del vino, la molteplicità delle sensazioni odorose si propaga in un rimbalzo continuo tra frutto deciso e morbidezza regalata dalla barrique, senza tuttavia che quest'ultima uccida il profumo e il gusto naturale.

Triste destino - si fa per dire! - quello degli Châteauneuf du Pape di questa risma, perché se oggi sono buoni soprattutto per chi sa guardare in avanti, bisogna fargli compiere almeno un decennio affinché diventino qualcosa che, una volta assaggiato, non lascia spazio a nient'altro.

Se è giusto chiudere come si è iniziato, il ritorno allo champagne è doveroso.

Ovviamente il Billiot che ha funzionato così bene per l'apertura, fornisce anche la soluzione ideale per la fase dessert.

Il Brut Rosé è ottenuto per assemblaggio, sia perché così il colore è sotto controllo, sia perché a prevalere siano le note fresche ed eleganti, più che la potenza del frutto.

Naturalmente, grazie alla parte rossa, è come bere il réserve con l'aggiunta di sentori fruttati di bacche scure, il che se vogliamo amplia le possibilità d'abbinamento di questo vino eccellente.

Con i formaggi di Marco Bernini la liaison è senza contraccolpi.

A eccezione dell'erica blu - quello erborinato - con latte vaccino, gli altri tre - cacioricotta, zola in bianco e caprozzarella - sono tutti di capra, anche se lavorati affinché non aggrediscano il palato.

Un esempio, neanche tanto raro qui al b3, di cibo e vino che a vicenda fanno risaltare le caratteristiche migliori dell'uno e dell'altro.


In questa festa di abbinamenti felici, non poteva mancare una coppia già collaudata in altre serate, che ruota attorno al dolce.

La panna cotta  - di fattura finissima - nasconde, ma neanche tanto, preziosi pistilli di zafferano, che le conferiscono una intrigante speziatura, essenziale per dare leggerezza alla componente grassa.

Lo stesso zafferano che sembra colpire i sensi quando si avvicina il naso a questo Sauternes Rieussec 1983 e che rende quasi obbligatorio l'abbinamento.

Profumo prima, sapore durante e aroma poi, sono in grado di dilatare ogni percezione gustativa della panna, mentre l'alcolicità deterge la bocca.

Posato il bicchiere - vuoto, certo! - si resta con una emozione di armonia, come quando si è soddisfatti di un lavoro ben fatto.

E questa consonanza tra piatti e vini, tra sensazioni e pensieri, tra aspettative e risultati fa perdurare ogni sapore e ogni sorpresa vissuta.

Sarà stata la solennità della tiara impressa sulle bottiglie, o addirittura le chiavi di San Pietro, ma quando l'incontro tra ciò che la natura produce di buono e la capacità dell'uomo di rispettarlo e valorizzarlo concordano - come accaduto in questa serata - ci si sente benedetti dalla sorte, per essere capitati in un mondo che è già un Paradiso di cui deliziarsi.

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