Il passato non è un fardello, la tradizione non è un muro da abbattere, la tipicità può essere un grande stimolo creativo, e queste tre chiavi - opportunamente girate - da sole potrebbero ridare non solo a Castiglione delle Stiviere, alla provincia di Mantova o alla Lombardia, ma all'intera Italia l'occasione di un definitivo cambiamento votato alla valorizzazione di ciò che siamo: grandissimi produttori e artigiani di bontà.
Rifarsi al teatro, nella denominazione, si inscrive poi nello stesso solco, perché il teatro moderno è stato letteralmente reinventato dai comici italiani, prima di approdare alle corti francesi e inglesi per dar vita poi alla classe di Molière e al mito di Shakespeare.
E a completare il quadro, i teatranti italiani arrivarono oltr'alpe a seguito del famoso trasloco di Caterina de' Medici con tutta la sua squadra di cuochi, regalando alla Francia un ruolo di patria dell'alta cucina che - nonostante gli enormi miglioramenti del resto del mondo - tuttora è difficile discutere.
E gran parte della sua formazione Claudio l'ha vissuta proprio in Francia, il che vuol dire aver acquisito occhio infallibile nel selezionare le materie e tecnica collaudata, doti che mitigano e completano un carattere battagliero che non deve avergli reso facile arrivare dov'è adesso.
La sua messa in scena è una raffinazione dell'osteria, della quale si conservano il prodotto e la sua riconoscibilità, come uniche vere garanzie del mangiare bene, presentati con garbo e sostanza.
Benvenuto essenziale, di ingredienti resi protagonisti assoluti senza troppa manipolazione.
La crema è di broccolo, la cui mineralità si rispecchia nella scaglia di tonno, per un inizio rinfrescante che invita il palato a mettersi in ascolto.
Il focus sulla materia continua come tema dominante di tutti gli antipasti (qui il menù completo di prezzi).
Va in scena così un piccolo dialogo tra due anime della capasanta, diverse ma complementari.
Il crudo e il cotto, lo speziato e il condito, la carnosità naturale e il contrasto di consistenze tra tostatura esterna e scioglievolezza interna, in un antipasto agile, soprattutto ben congegnato.
Due bracciate più in là, l'alta scuola del salmone marinato galleggia sul caviale per un inizio di classe pura.
Un pezzo di curriculum inamovibile per ogni chef, e un piatto che per la franca bontà dei suoi elementi travalica le classificazione delle portate, e sarebbe buonissimo in qualsiasi momento del pranzo.
Dall'acqua salata alla dolce, il grado di articolazione del piatto sale, in questo luccio ai profumi d'autunno.
Finferli e mandorle come depositati dalla forza del fiume sui bocconi di un pesce carico e minerale, dove acqua e terra sconfinano a vicenda.
Si approda sulla terraferma per salire in sella a tutto cavallo, in un antipasto che dialoga con l'alto e il basso della scienza degli antipasti.
Si va dall'eleganza della tartare - che cambia solo per l'uso di carne equina - al roast beef con maionese in cui riecheggiano piatti simili di solito fatti col vitello, fino allo speck equino che cita gli immancabili affettati ad aprire i pranzi domenicali.
Per fortuna c'è il sempre sicuro di sé, Alfredo Leoni di Top-Wine a chiamare in soccorso il suo primo amico.
L'Hautes-Côtes De Nuits 2012 Aurélien Verdet ha la finezza adatta a stare accanto ai piatti d'acqua, per i quali sfoggia una freschezza preziosa, così come a quelli di terra, con i suoi sapori più balsamici.
Il senso di questo vino è presto spiegato: ci serve anche come viatico per accedere al suo fratello maggiore, il 1er Cru-Les Damodes Nuits-Saint-Georges 2007.
E maggiore lo è di parecchio, così personalmente ho preferito conoscerlo poco a poco lungo tutta la giornata, slegato dai piatti, per interrogarlo con la dovuta calma, e le risposte sono state così intense che ancora le sto elaborando.
Con la carta dei primi, terra e mare possono trovare strade collaborative, in un ventaglio di piatti che non disdegna la pasta secca, è consapevole di una tradizione onorevole, e prova a ripensare alcuni nodi cruciali della cucina italiana.
Fuori carta, gli agnoli al brodo di zenzero celebrano la domenica, e provano come lo chef sappia di trovarsi su una strada che non può prescindere da uno ieri così importante come le gloriose paste ripiene italiche.
Discesa vertiginosa al sud con questi paccheri di Gragnano al baccalà, un cimento che parecchi chef considerano inevitabile, con uno dei formati di pasta che aspettano al varco chi vuole usarli, e la soluzione marina con cui sono risolti è efficace.
Divertente la carbonara d'anguilla affumicata, che i tagliolini imprigionano irrorati dall'abbondanza d'uovo, in un piatto in cui i parametri di sostanza e carica gustativa si elevano, pur se la peculiarità dell'anguilla risulta leggermente confusa nell'insieme.
Valichiamo verso i secondi, in una gamma che rimette sul podio più alto la pura materia prima, senza stravaganze.
Il pescato del giorno è servito con patate e salsa di zafferano, e oggi dal mare emerge l'ombrina.
Trancio integro, cottura che onora la qualità della carne, con la patata che la eleva su questo quasi guazzetto, in cui tinta e profumo moltiplicano la sensorialità della degustazione.
Con il lomo di baccalà l'equilibrio raggiunge una delle massime espressioni della carta, perché qui oltre alla rinuncia a fronzoli inutili lo chef si affida sapientemente alla cultura povera.
I pomodori e soprattutto le cipolle agrodolci toccano senza invaderlo il trancio bianco e sodo che - quando la carne è così buona - merita di essere mangiato quasi a solo.
La tagliata di controfiletto di cavallo chiude l'ideale ponte con il piatto d'antipasto equino, dichiarando così la passione dello chef per questa materia.
Anche la tagliata dimostra una scelta di campo netta, con la quale si predilige l'ingrediente sulla creatività, la riconoscibilità sulla stravaganza, l'appartenenza a una tradizione sulla rottura col passato.
Bontà chiama bontà, così i piatti non potevano trovare miglior riflesso che nello Champagne Egly-Ouriet Brut Rosé Grand Cru.
Vino superbo, con un profumo di lievitato che scoppia nel calice, prima di aprirsi a frutti rossi delicati.
La sensazione gustativa va dal pane finanche al burro, e non sai più se è suggestione o se ti trovi davanti a uno dei migliori champagne al mondo.
Alla fine, resti a guardarlo perdendoti nella tinta che racchiude ogni bellezza di albe e tramonti.
La lista dei dessert fa la spola tra la golosità e la storia, tra bocconi di consistenza vellutata e dolci di classica abilità.
L'anello di San Luigi Gonzaga è in ossequio al ramo della dinastia che diede vita al feudo di Castiglione.
La vellutatissima crema pasticcera fa spiccare le fette della essenziale ciambella alle mandorle.
Sempre nella storia di Castiglione, ma recentissima, l'ideazione del budino belga, ibrido che unisce la tecnica della panna cotta e della crème caramel, e che alcuni associano - per me misteriosamente - al bonet piemontese.
Esecuzione perfetta, persiste con piacevolezza ed è goloso come si richiede ai dessert dell'immaginario.
Diffusa in tutta la Lombardia, la torta di rose ha precise origini mantovane, ed è un altro pezzetto del puzzle che delinea le scelte precise dello chef, ben radicato nel suo territorio e nella sua storia.
In monoporzione, su una crema che effonde luce, il suo compito è riverberare un po' della mitica bellezza di Isabella D'Este, marchesa a Mantova nell'epoca d'oro dei piccoli stati nobiliari italici, e se lei era bella quanto questa è buona, beati i mantovani di cinquecento anni fa.
Sul tortino al cioccolato la precisazione della padrona di casa è d'obbligo: non si tratta di quello con il cuore morbido, qualità che è fornita invece dal gelato, ma di una versione senza farina, a pennello per intolleranti e celiaci.
Con le prugne al Barolo accanto, i contrasti dolce-amaro, freddo-caldo, solido-liquido trasformano questo dessert in una sonata al chiar del gusto.
Il cioccolato declinato secondo stagione si materializza in questa mousse con crema di cachi e meringa.
In assoluto tra i migliori abbinamenti per il cioccolato, i cachi sono di una bontà fugace come la fase intermedia dell'autunno, e da essi parte il gioco di consistenze fino alla croccantezza del crumble.
La piccola pasticceria diventa l'occasione di trasformare tutto in un gioco da tavola, in cui i dolcetti sono pedine da spostare e rubare agli altri commensali, nel più classico dei chi tardi arriva male alloggia, e dai vassoi si smaterializzano presto questi piccoli preziosi.
Claudio finalmente si siede con noi e fa spazio anche a questo Pommeau de Normandie che assembla sidro e calvados con un disciplinare molto preciso.
A due terzi di mela si aggiunge un terzo di calvados riposato almeno un anno in botti di quercia e che abbia sviluppato almeno il 65 % di volume alcolico, e così si compie la magica trasformazione.
I quattordici mesi successivi passati in barile completano l'opera nella colorazione e nel profumo che lo renderà inconfondibile.
Si tira tardi per una chiacchierata scoppiettante, in cui raccontarsi, per Claudio, è un altro modo di affacciarsi sulla scena dei commensali, per l'applauso di commiato.
Cucina che va decisa ai sensi e personalità focosa, in linea con quella definizione, hostaria, che sa diventare un valore.
Hostaria del Teatro
via Bernardo Ordanino 5b
46043 Castiglione delle Stiviere (MN)
tel. 0376 670813
Chiuso Gio
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