sabato 27 dicembre 2014
Focaccia: cinque accorgimenti che non puoi trascurare
La focaccia, per chi si occupa di enogastronomia, può essere un argomento polposo ma può anche risultare un ginepraio.
Se solo consideriamo che tra liguri e pugliesi - tanto per citarne alcuni - c'è una secolare competizione su chi l'avrebbe inventata e quale sia la versione più vera e originale, c'è da ammattire.
Ovviamente questo comporta tutta una serie di varianti realizzative, dovute agli ingredienti - farine e lieviti - alla procedura e quindi al risultato.
Chi la vuole alta coi buchi, chi la vuole bassa e croccante, il genovese non tollera la mollica, il pugliese ci mette il pomodoro o la cipolla, il recchese ha la sua versione ultra sottile col formaggio, e ognuno trova centinaia di motivazioni a sostegno della focaccia che ha nel cuore e che desidera nello stomaco.
Io non sono da meno, e la mia focaccia risponde alle mie esigenze: deve sviluppare abbastanza da poterla aprire e farcire al bisogno, dev'essere leggera - nel senso della digeribilità ma anche del peso - e deve aver appena appena abbandonato il colore bianco dell'impasto, assumendo una tonalità vagamente dorata, perché l'esterno deve avere solo un'accenno di croccantezza a preservare gli alveoli.
Per avere queste caratteristiche, la focaccia va preparata rispettando alcuni accorgimenti, senza i quali sarebbero compromesse, e io non sarei più felice di mangiarla.
Eccoli.
venerdì 26 dicembre 2014
Il vino che conviene: Fleur d'Eglantine 2013 Château Mourgues du Grès
Fleur d'Eglantine 2013 Château Mourgues du Grès
Uva: Mourvédre, Grenache, Syrah e Carignan
Metodo: pressatura per la Grenache, saignée per le altre uve
Invecchiamento: termoregolato
Alcool: 13,5 %
Prezzo: 8,50 €
Vino eclettico, per vivacizzare il momento dell'aperitivo o fare da delicato contrappunto a piatti freschi con ingredienti naturali in primo piano, il Fleur d'Eglantine 2013 Château Mourgues du Grès stupisce innanzitutto per il bellissimo vestito che si porta addosso (puoi trovarlo su Top-Wine).
Fleur d'Eglantine, cioè rosa canina, da cui ha rubato la tinta tenue ottenuta con metodo saignée dalle uve tipiche della Provenza, dalla Mourvédre alla Grenache, col contributo di Syrah e Carignan.
Mourgues du Grès significa le monache dei ciottoli, dato che l'azienda appartenne alle Orsoline fino alla Rivoluzione Francese.
domenica 21 dicembre 2014
Dal Portichetto, il cuoco solitario fa salpare...
lunedì 15 dicembre 2014
Gourmet in trasferta: l'Ambasciata, ovvero la legge dell'opulenza
Solo a occhi chiusi è possibile fantasticare di muoversi su morbidi tappeti, nella luce attenuata da tendaggi imponenti, avvolti da profumi caldi e cere che sciolgono, vedendosi riflessi in argenti e cristalli che riverberano tutt'intorno, tra specchi e vetrate, dove anche solo il sedersi diventa uno stare in posa, e una tavolata si trasforma in una galleria sul tema del mangiar bene.
In realtà, si può vivere tutto questo con gli occhi ben spalancati: basta andare a Quistello, dove Francesco e Romano Tamani da oltre trent'anni tengono in vita la loro Ambasciata, emblema di una cucina dal codice genetico mantovano ma dalle movenze internazionali, che ha permesso loro di accumulare trionfi e riconoscimenti di un prestigio raro e prezioso.
15 punti per L'Espresso, 1 stella Michelin, vera gloria per un ristorante che ha attraversato con successo tutta la complessa transizione della ristorazione italiana degli anni ottanta, mostrando come fosse possibile fare quello che oggi si chiama territorio senza rinunciare alla cura e all'eleganza.
Dopo trentasei anni, Romano ai fornelli e Francesco in sala continuano monolitici a preservare e a preservarsi, senza alterare la cifra che li ha contraddistinti, con il coraggio di chi - pur ascoltando l'umore dei tempi - non può cambiare un modo di fare cucina che è diventato negli anni la loro pura identità.
Laddove oggi si inneggia alla leggerezza, all'Ambasciata si ribatte con la legge dell'opulenza; al dogma del rispetto dell'ingrediente naturale, i Tamani replicano con pentole di rame e cotture prolungate e intense per moltiplicare i sapori; a una cucina che oggi cerca di farsi veicolo di concetti oltre che di ingredienti, qui - in mezzo ai tappeti e ai cristalli - prevale un esuberante sovrabbondanza.
A dire il vero, Romano Tamani a fine pranzo ci dice che forse abbiamo esagerato nell'organizzare questa festa pre-natalizia con troppi piatti, ma l'occasione era talmente squisita e la compagnia così apprezzata - con Giancarlo Maffi, Leonardo Ciomei, Fabrizio Scarpato, Albert Sapere, Raffaele Barlotti, Alfredo Leoni, Andrea Pieri, Filippo Felice Di Bartola, Fabio Mazzei, Massimo Neri e Igles Corelli - che non c'era proprio speranza di cavarsela con due portate striminzite.
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venerdì 5 dicembre 2014
Li chiamavano Super Tuscan
A vederli così schierati, a mo' di moschettieri del gusto, della raffinatezza e della gloria vitivinicola italiana riescono a toccare corde profonde.
Sono i quattro Super Tuscan che Alfredo Leoni e Paolo Stefanetti hanno voluto celebrare in una serata irripetibile tra la cucina precisa del M1.lle Storie & Sapori e le bottiglie perfette di Top-Wine.
Come per il cinema, l'annuncio di un cast d'eccezione prefigura un film che quasi certamente farà gridare al capolavoro, così nelle ultime settimane l'attesa per I favolosi anni Ottanta - Un decennio di annate straordinarie è stata vissuta senza alcun dubbio sulla sua riuscita, potendo contare sui primi attori che, negli anni Ottanta, emersero dalla Tenuta San Guido, dalla tenuta Greppo Biondi-Santi e dai Marchesi Antinori.
Quando si pronunciano parole come Tignanello, Sassicaia, Solaia, Brunello Biondi-Santi si ode l'eco del prestigio, il vento della storia del vino italiano, e la detonazione dovuta all'impatto che hanno lasciato e tuttora persiste nel mercato dei collezionisti e degli appassionati di tutto il mondo, disposti a elargire cifre vertiginose pur di accaparrarseli.
Vini che hanno rappresentato il primo grande slancio verso una maggiore consapevolezza tecnica, una seria dichiarazione d'umiltà nei confronti dei cugini d'Oltralpe, prendendone a prestito tipologie d'uva e processi produttivi, e una assunzione di responsabilità nell'interpretare la tradizione senza subirla, soprattutto in un periodo in cui il Chianti era solo bottiglia impagliata e vino rosso alleggerito e allungato da uve bianche per soddisfare la richiesta di mercato.
Fa sorridere infatti leggere sulle etichette di questi capolavori la dicitura vino da tavola, dato che all'epoca non era possibile classificarli altrimenti, poiché, pur prodotti nel Chianti, non ne rispettavano i principi, ed è anche grazie a questa sovversione che si è pervenuti alla classificazione IGT.
Se all'importanza dei Super Tuscan aggiungiamo poi alcune chicche in fatto di Champagne, Sauternes e distillati, e se consideriamo che lo chef del M1.lle ha scelto di tenersi all'altezza delle bottiglie giocando la mossa di un tartufo bianco che non sloggia dalle narici neanche il giorno dopo, il conto è bell'e fatto: cena fenomenale, vino impareggiabile, serata leggendaria.
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mercoledì 3 dicembre 2014
Alla Braseria, il "bujì" che accoglie l'inverno
Appena entrati in un dicembre camuffato da ottobre per clima e temperature, non possiamo tuttavia ignorare la stagionalità.
E così, per far accomodare la stagione invernale imminente, fervono preparativi ad hoc, quasi come fossero riti propiziatori per un inverno canonicamente freddo, magari nevoso, perché più suggestivo e stimolante.
Infatti, è con le basse temperature e la voglia di grasso e calore che nasce - quasi per istinto - la grandiosa trovata umana del bollito, che in Italia trova la sua massima espressione nel bue grasso piemontese, meglio ancora se di Moncalvo.
E proprio negli stessi giorni in cui il paesino dell'astigiano celebra il bue autoctono con una sagra monumentale, a La Braseria di Osio Sotto, l'11 dicembre alle 20.30, si rivivrà l'atmosfera rituale che da sempre ruota intorno a questo piatto ancestrale con la serata dedicata al "bujì".
domenica 30 novembre 2014
Al b3, il paradiso degli Châteauneuf du Pape
Sono passati settantasette anni da quando il barone Pierre Le Roy e gli altri viticoltori di Châteauneuf du Pape e dintorni presero la felice decisione di creare una bottiglia unica per il loro vino.
Legato sin dal XIV secolo al volere e ai capricci dei papi della cattività avignonese, il vino che ne prende il nome - e la solennità - da allora è armato di tiara papale e chiavi di San Pietro, come a significare che ha il potere di aprirti le porte del Paradiso.
E ieri sera, al b3 di Daniele Cumini, di bottiglie armate e di porte paradisiache se ne sono aperte, con gli Châteauneuf du Pape dell'attenta selezione targata Top-Wine.
Annunciato già da una ventina di giorni, l'evento è nato proprio da una scintilla di puro gusto, quella che lo chef Daniele ha visto accendersi dopo aver provato i vini del Domaine De Cristia che, insieme a un'altra importante parcella della zona, agli Champagne Billiot e al Sauternes Rieussec, hanno fatto da trampolino per la sua creatività.
Un territorio poliedrico, quello degli Châteauneuf du Pape, che vede avvicendarsi sabbia rossa, ciottoli, calcare e piccoli rilievi, nei quali le uve, soprattutto la Grenache, sono in grado di sviluppare caratteristiche che, miscelate con competenza, producono vini dal frutto inconfondibile, intensi ma eleganti, e soprattutto capaci di performance d'invecchiamento quasi inverosimili.
Una finissima cena che nel cuore si rivela anche un'istruttiva esperienza degustativa, nell'incontro dei piatti pensati da Daniele Cumini e dei vini abbinati da Alfredo Leoni.
Legato sin dal XIV secolo al volere e ai capricci dei papi della cattività avignonese, il vino che ne prende il nome - e la solennità - da allora è armato di tiara papale e chiavi di San Pietro, come a significare che ha il potere di aprirti le porte del Paradiso.
E ieri sera, al b3 di Daniele Cumini, di bottiglie armate e di porte paradisiache se ne sono aperte, con gli Châteauneuf du Pape dell'attenta selezione targata Top-Wine.
Annunciato già da una ventina di giorni, l'evento è nato proprio da una scintilla di puro gusto, quella che lo chef Daniele ha visto accendersi dopo aver provato i vini del Domaine De Cristia che, insieme a un'altra importante parcella della zona, agli Champagne Billiot e al Sauternes Rieussec, hanno fatto da trampolino per la sua creatività.
Un territorio poliedrico, quello degli Châteauneuf du Pape, che vede avvicendarsi sabbia rossa, ciottoli, calcare e piccoli rilievi, nei quali le uve, soprattutto la Grenache, sono in grado di sviluppare caratteristiche che, miscelate con competenza, producono vini dal frutto inconfondibile, intensi ma eleganti, e soprattutto capaci di performance d'invecchiamento quasi inverosimili.
Una finissima cena che nel cuore si rivela anche un'istruttiva esperienza degustativa, nell'incontro dei piatti pensati da Daniele Cumini e dei vini abbinati da Alfredo Leoni.
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venerdì 28 novembre 2014
Al M1.lle arrivano i Super Tuscan: ancora tre posti!
Il 3 dicembre è dietro l'angolo, e l'evento previsto per quella sera si può considerare il primo vero regalone sotto l'albero di Natale del gusto.
Al M1.lle - che ormai si candida seriamente al titolo di locale più prolifico di serate eccezionali - si stappano i grandi Super Tuscan degli anni Ottanta, portati da Top-Wine di Alfredo Leoni e abbinati alla creatività culinaria di Paolo Stefanetti.
Una serata che sarebbe riduttivo definire esclusiva, poiché si terrà nella splendida cantinetta del bistrò, per soli sette fortunati.
Ma la notizia è un'altra: fino ad ora, quattro posti sono già occupati, e bisogna sbrigarsi per accaparrarsi gli altri tre.
Al M1.lle - che ormai si candida seriamente al titolo di locale più prolifico di serate eccezionali - si stappano i grandi Super Tuscan degli anni Ottanta, portati da Top-Wine di Alfredo Leoni e abbinati alla creatività culinaria di Paolo Stefanetti.
Una serata che sarebbe riduttivo definire esclusiva, poiché si terrà nella splendida cantinetta del bistrò, per soli sette fortunati.
Ma la notizia è un'altra: fino ad ora, quattro posti sono già occupati, e bisogna sbrigarsi per accaparrarsi gli altri tre.
domenica 23 novembre 2014
Il vino che conviene: Vin De Pays Méditerranée Rouge 2013 Cristia
Vin de Pays de Méditerranée Rouge 2013
Uva: Grenache
Invecchiamento: cemento
Alcool: 13 %
Prezzo: 8 €
Quando si crea la giusta sintonia tra il terreno, l'età delle piante e il metodo di lavorazione, rispettoso della natura, si può bere bene senza costi eccessivi.
È il caso di questo Vin de Pays de Méditerranée Rouge 2013 Grenache del Domaine De Cristia, qui da noi distribuito da Top-Wine.
Avvolto nel suo rosso totale, ti abbaglia con guizzi violacei limpidi.
A bicchiere fermo si sentono lamponi e more, che con l'ossigeno fanno largo poi a profumi più complessi, fino a note di cacao se gli si dà il tempo.
L'acidità è piacevole, e in successivi assaggi si intensifica il calore alcolico.
Se ne può apprezzare anche la naturale tannicità in persistenza, soprattutto se assaggiato da solo, senza bocconi di cibo.
Oltre a carne rossa e formaggi duri - abbinamenti certi - in realtà questa Grenache ha un ventaglio ampissimo, grazie all'acidità che le permette di dialogare con la grassezza, al fondo alcolico, ideale per appoggiare sensazioni untuose, e al velo di tannini che resta nel finale, perfetto con sughi e intingoli di terra.
Uva: Grenache
Invecchiamento: cemento
Alcool: 13 %
Prezzo: 8 €
Quando si crea la giusta sintonia tra il terreno, l'età delle piante e il metodo di lavorazione, rispettoso della natura, si può bere bene senza costi eccessivi.
È il caso di questo Vin de Pays de Méditerranée Rouge 2013 Grenache del Domaine De Cristia, qui da noi distribuito da Top-Wine.
Avvolto nel suo rosso totale, ti abbaglia con guizzi violacei limpidi.
A bicchiere fermo si sentono lamponi e more, che con l'ossigeno fanno largo poi a profumi più complessi, fino a note di cacao se gli si dà il tempo.
L'acidità è piacevole, e in successivi assaggi si intensifica il calore alcolico.
Se ne può apprezzare anche la naturale tannicità in persistenza, soprattutto se assaggiato da solo, senza bocconi di cibo.
Oltre a carne rossa e formaggi duri - abbinamenti certi - in realtà questa Grenache ha un ventaglio ampissimo, grazie all'acidità che le permette di dialogare con la grassezza, al fondo alcolico, ideale per appoggiare sensazioni untuose, e al velo di tannini che resta nel finale, perfetto con sughi e intingoli di terra.
sabato 22 novembre 2014
La settimana del M1.lle, tra nebbiolo e ostriche
In attesa dell'eventuale neve natalizia, a fioccare su Bergamo e provincia ci pensano gli eventi enogastronomici, che veramente ti fanno piombare nel più puro imbarazzo della scelta.
E se c'è un locale che nella città orobica sta riscontrando un'affermazione che ha dell'incredibile è proprio il M1.lle Storie & Sapori, almeno a giudicare dal perenne pieno che lo contraddistingue.
Sicuri dunque del posto guadagnato nel cuore - e nella pancia! - del pubblico bergamasco, ecco che Paolo Stefanetti & Co. sferrano un uno-due micidiale a quest'ultima settimana di novembre, estraendo dal più classico dei cappelli a cilindro il signore dei vitigni italici e la diva del mangiare di classe.
Martedì 25 e mercoledì 26 novembre, infatti, nell'affascinante spazio del M1.lle, si terranno due eventi la cui centralità è davvero indiscutibile.
giovedì 20 novembre 2014
Gourmet in trasferta: alla Cascina Chiericoni il vero agriturismo
Ritorno felice in Oltrepò - dopo la bella avventura di quasi un mese fa - nella certezza di fare altre scoperte liete.
In una terra votata quasi interamente a vigneti e frutteti, di certo non mancano gli agriturismi, ma quelli veri, con i padroni che davvero coltivano e portano in tavola i prodotti della loro terra, come l'agriturismo Chiericoni, dell'azienda agricola biologica Lucotti di Rivanazzano (PV).
L'agriturismo in Italia dovrebbe essere la normalità, la versione base sia della vendita di prodotti che della loro somministrazione, un posto dove affidarsi a qualcuno che ha fatto di un mestiere la propria identità.
Chissà perché quando scegliamo il meccanico o l'idraulico ci preoccupiamo che sappia veramente fare il suo mestiere - cioè riparare le nostre cose - e invece, quando si tratta di scegliere un agriturismo in cui mangiare o acquistare prodotti, pochi sono così scrupolosi da accertarsi della sincerità di chi lo gestisce e di ciò che offre, e si bada quasi per intero ai soli zeri della cifra da spendere.
Per essere un vero agriturismo non basta vendere vino, olio, frutta e formaggio, non è sufficiente preparare piatti semplici o servire taglieri di salumi e cacio per poche decine di euro, a nulla serve essere circondati da alberi e terra, arredare con mobilio di legno datato, mettere delle graziose tendine alle finestre o accendere un camino, se poi manca l'essenziale: i contadini.
La Cascina Chiericoni non è solo il ristorante dove mangiare dal venerdì alla domenica l'essenziale cucina - stagionale e rispettosa dei cicli naturali e della territorialità - o bere vino genuino, ma è anche la vera e propria casa nella quale vive chi questa cascina con agriturismo la anima, la ravviva, e ne prosegue il destino.
Già dal 2001 - ma le origini dell'azienda sono plurisecolari - gli interi 20 ettari sono lavorati secondo i dettami del biologico, per una produzione di albicocche, prugne, ciliegie e ovviamente pesche eccellenti, e uve che si trasformano in quei vini beverini che ti aspetti in questa cornice, dalla croatina alla barbera fino alla bonarda, senza solfiti.
Emblema di sincerità totale, l'azienda è riconosciuta come la punta di diamante di questo angolo d'Oltrepò al confine con la provincia di Alessandria, tanto che il titolare Alberto Lucotti riveste anche il ruolo di presidente di Terranostra, senza ringalluzzirsi, ma continuando a spaccarsi le mani e la schiena e a servire ai tavoli nel fine settimana, accanto agli altri familiari, come lo scoppiettante papà, che non può fare a meno di trattarti come un amico di vecchia data, passando molto tempo al tavolo per raccontarti storie, eventi, notizie e curiosità, dalle quali emerge la qualità necessaria per essere dove sono: la conoscenza del territorio e del proprio mestiere.
sabato 15 novembre 2014
Al M1.lle, le bollicine di Gaston Chiquet
La pioggia non dà tregua, in questo autunno inoltrato, ma le iniziative bergamasche sono troppo allettanti per restarsene in casa.
Quindi, aprite gli ombrelli, lunedì 17 novembre, per partecipare a una favolosa passeggiata nella Champagne di Gaston Chiquet, in una serata eccezionale al M1.lle, in piena Bergamo.
Quindi, aprite gli ombrelli, lunedì 17 novembre, per partecipare a una favolosa passeggiata nella Champagne di Gaston Chiquet, in una serata eccezionale al M1.lle, in piena Bergamo.
venerdì 14 novembre 2014
Gourmet in trasferta: chi è di scena all'Hostaria del Teatro?
Già nel nome, Hostaria del Teatro, lo chef Claudio Truzzi dà un indizio fondamentale sulle sue intenzioni.
Il passato non è un fardello, la tradizione non è un muro da abbattere, la tipicità può essere un grande stimolo creativo, e queste tre chiavi - opportunamente girate - da sole potrebbero ridare non solo a Castiglione delle Stiviere, alla provincia di Mantova o alla Lombardia, ma all'intera Italia l'occasione di un definitivo cambiamento votato alla valorizzazione di ciò che siamo: grandissimi produttori e artigiani di bontà.
Rifarsi al teatro, nella denominazione, si inscrive poi nello stesso solco, perché il teatro moderno è stato letteralmente reinventato dai comici italiani, prima di approdare alle corti francesi e inglesi per dar vita poi alla classe di Molière e al mito di Shakespeare.
E a completare il quadro, i teatranti italiani arrivarono oltr'alpe a seguito del famoso trasloco di Caterina de' Medici con tutta la sua squadra di cuochi, regalando alla Francia un ruolo di patria dell'alta cucina che - nonostante gli enormi miglioramenti del resto del mondo - tuttora è difficile discutere.
E gran parte della sua formazione Claudio l'ha vissuta proprio in Francia, il che vuol dire aver acquisito occhio infallibile nel selezionare le materie e tecnica collaudata, doti che mitigano e completano un carattere battagliero che non deve avergli reso facile arrivare dov'è adesso.
La sua messa in scena è una raffinazione dell'osteria, della quale si conservano il prodotto e la sua riconoscibilità, come uniche vere garanzie del mangiare bene, presentati con garbo e sostanza.
Il passato non è un fardello, la tradizione non è un muro da abbattere, la tipicità può essere un grande stimolo creativo, e queste tre chiavi - opportunamente girate - da sole potrebbero ridare non solo a Castiglione delle Stiviere, alla provincia di Mantova o alla Lombardia, ma all'intera Italia l'occasione di un definitivo cambiamento votato alla valorizzazione di ciò che siamo: grandissimi produttori e artigiani di bontà.
Rifarsi al teatro, nella denominazione, si inscrive poi nello stesso solco, perché il teatro moderno è stato letteralmente reinventato dai comici italiani, prima di approdare alle corti francesi e inglesi per dar vita poi alla classe di Molière e al mito di Shakespeare.
E a completare il quadro, i teatranti italiani arrivarono oltr'alpe a seguito del famoso trasloco di Caterina de' Medici con tutta la sua squadra di cuochi, regalando alla Francia un ruolo di patria dell'alta cucina che - nonostante gli enormi miglioramenti del resto del mondo - tuttora è difficile discutere.
E gran parte della sua formazione Claudio l'ha vissuta proprio in Francia, il che vuol dire aver acquisito occhio infallibile nel selezionare le materie e tecnica collaudata, doti che mitigano e completano un carattere battagliero che non deve avergli reso facile arrivare dov'è adesso.
La sua messa in scena è una raffinazione dell'osteria, della quale si conservano il prodotto e la sua riconoscibilità, come uniche vere garanzie del mangiare bene, presentati con garbo e sostanza.
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lunedì 10 novembre 2014
Serata piemontese: al GiGianca, il bue è grasso
Molte cose bollono in pentola, nell'autunno del GiGianca, la Premiata Officina Gastronomica che non ne vuole proprio sapere di starsene con le mani in mano e mette nel piatto eventi su eventi.
Avevo appena annunciato l'irripetibile serata con i vini Movia, ed ecco arrivare un borbottìo di pentole a segnalare il prossimo ragguardevole appuntamento.
Giovedì 27 novembre, alle 20.15 - tutti puntuali! - primo attore al GiGianca sarà il bue grasso con il bollito misto nella più schietta tradizione piemontese.
Sotto l'albero, TrentacinquEuro per te!
Credo sia la prima volta che posso dirmi contento di qualcuno che, con largo anticipo, mi annuncia il Natale.
Da pochi giorni - esattamente dal 5 novembre - è ripartita una delle iniziative più riuscite della scorsa stagione.
TrentacinquEuro è un'idea semplice ed efficacissima, come tutte le idee semplici.
Da pochi giorni - esattamente dal 5 novembre - è ripartita una delle iniziative più riuscite della scorsa stagione.
TrentacinquEuro è un'idea semplice ed efficacissima, come tutte le idee semplici.
sabato 8 novembre 2014
M1.lle Storie e Sapori, da gustare e raccontare...
In una cornice così, anche col tavolo vuoto ci si sentirebbe pieni, di emozione, di curiosità, di rispetto per i sapori tutt'intorno e le loro storie.
E così recita, a mo' di sottotitolo, il brand del M1.lle, storie e sapori, e state pur tranquilli che quel tavolo non è rimasto vuoto a lungo.
Con l'esperienza impagabile, maturata in tantissimi anni nella più importante cucina della bergamasca, il patron Paolo ha deciso di riaccendere i riflettori su uno spazio in viale Papa Giovanni XXIII che da sempre ha ospitato gastronomia.
Ma a Paolo non basta essere in pieno centro, e pensa a un modo per essere il centro.
E lo trova nel concept unico a Bergamo e dintorni, un luogo cangiante, anzi, quasi cubista, dove le diverse facce coesistono nella simultaneità, perché è contemporaneamente caffetteria, gastronomia, enoteca, bistrot e ristorante, e dalla mattina a notte inoltrata non si farà mai cogliere impreparato da chi vorrà fermarsi per andare oltre il consumare e avventurarsi nel degustare.
Se poi ci si siede a quel tavolo con chi può non solo ammirare la qualità del M1.lle, ma aggiungervi la propria, allora sono baci di fortuna.
Con Alfredo Leoni di Top-Wine prende vita una cena-degustazione dove la competenza enologica e l'arte di stare ai fornelli formano l'irripetibile.
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28 novembre: al b3, quattro passi tra gli Châteauneuf du Pape
È lanciatissimo, Daniele Cumini, alla guida del ristorante b3 a Bergamo, e ha cominciato questa stagione 2014-2015 con accanimento e voglia di far bene.
Così, assieme ad Alfredo Leoni di Top-Wine daranno spazio a una delle realtà vitivinicole più autorevoli d'oltralpe.
La sera del 28 novembre, nel ricercato spazio di via Tasso, i piatti di Daniele - che ho già raccontato qui - faranno una conoscenza molto ravvicinata degli Châteauneuf du Pape del Domaine de Cristia e Saint Théodoric, in un itinerario del gusto e del piacere che sa già di indimenticabile.
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venerdì 7 novembre 2014
Al GiGianca, Aleš Kristančič racconta i grandi Movia
Che la Premiata Officina Gastronomica Al GiGianca sia tra i migliori locali di Bergamo non ci piove e l'avevo già detto qui.
Ma un'officina che si rispetti non si adagia sugli allori, bensì si mantiene laboriosa e attenta a proporsi con intelligenza e unicità.
E così Gigi e Alessia hanno pronto per il20 25 novembre un evento esuberante, un'opportunità che ha tutti i caratteri dell'irrinunciabile.
Al GiGianca arriva Aleš Kristančič e si porta con sé i vini Triple "A" che con la sua azienda Movia rappresentano un vanto della vinificazione.
Ma un'officina che si rispetti non si adagia sugli allori, bensì si mantiene laboriosa e attenta a proporsi con intelligenza e unicità.
E così Gigi e Alessia hanno pronto per il
Al GiGianca arriva Aleš Kristančič e si porta con sé i vini Triple "A" che con la sua azienda Movia rappresentano un vanto della vinificazione.
Una cassoeûla a tre stelle
È fissato per giovedì 20 novembre l'appuntamento con un mito della tradizione gastronomica lombarda, la cassoeûla.
Ma il valore aggiunto è che a preparare questo piatto solitamente ritenuto corposo, di sostanza e per stomaci forti sarà la squadra del ristorante Da Vittorio, che ha appena visto riconfermare le sue luccicanti tre stelle Michelin.
Nei confortevoli ambienti de La Cantalupa, alle 20.30, da una delle cucine più prestigiose d'Italia - e d'Europa, ormai, visto che i Cerea hanno appena concluso una trionfale esperienza britannica e sono già pronti per un gustoso inverno al Da Vittorio di St. Moritz - uscirà una delle preparazioni più ricche di storie, voci, leggende e mistero, che però continua a far battere il cuore dei lombardi.
Ma il valore aggiunto è che a preparare questo piatto solitamente ritenuto corposo, di sostanza e per stomaci forti sarà la squadra del ristorante Da Vittorio, che ha appena visto riconfermare le sue luccicanti tre stelle Michelin.
Nei confortevoli ambienti de La Cantalupa, alle 20.30, da una delle cucine più prestigiose d'Italia - e d'Europa, ormai, visto che i Cerea hanno appena concluso una trionfale esperienza britannica e sono già pronti per un gustoso inverno al Da Vittorio di St. Moritz - uscirà una delle preparazioni più ricche di storie, voci, leggende e mistero, che però continua a far battere il cuore dei lombardi.
sabato 1 novembre 2014
Gourmet in trasferta: mirabilie dell'Oltrepò Pavese
Doveva essere una semplice gita fuori porta per visitare un territorio, e invece si è trasformata in un incredibile viaggio alla scoperta di una terra feconda di idee, abitata da uomini generosamente impegnati e felicemente coraggiosi.
Poteva essere una banale capatina a mordere e fuggire qualche specialità tipica - qualsiasi cosa voglia dire - e invece, grazie alla guida sicura di Alfredo Leoni di Top-Wine - col quale ormai stringerò una joint venture! - , è diventata una strabiliante festa di ingredienti e prodotti, generati dal più felice dei matrimoni, quello tra la ricchezza della terra e la sapienza di chi sa ascoltarla e assecondarla.
Potrebbe restare una cartolina, solo da incorniciare ormai, seppur meravigliosa, e invece il piccolo ma profondissimo viaggio nell'Oltrepò Pavese merita un seguito, anzi, lo richiede come un obbligo morale, per chiunque voglia poter affermare di conoscere qual è la vera natura di un territorio, di una regione, addirittura di un intero paese.
Perché quello che contadini, allevatori, artigiani e geniali produttori di bontà riescono a fare in quel cuneo tra le province di Pavia, Alessandria e Piacenza, e quindi tra Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna, è una lezione viva all'intera Italia di ciò che tutti i contadini, gli allevatori, gli artigiani e i produttori dovrebbero fare del nostro paese, dando un calcio definitivo ad altri destini industriali.
Tra frutta e ortaggi, api e armenti, latte e vigne, ce n'è ben più che abbastanza per creare un campionario inimitabile che il resto del mondo al massimo potrà assaggiare e acquistare, ma mai eguagliare.
Poteva essere una banale capatina a mordere e fuggire qualche specialità tipica - qualsiasi cosa voglia dire - e invece, grazie alla guida sicura di Alfredo Leoni di Top-Wine - col quale ormai stringerò una joint venture! - , è diventata una strabiliante festa di ingredienti e prodotti, generati dal più felice dei matrimoni, quello tra la ricchezza della terra e la sapienza di chi sa ascoltarla e assecondarla.
Potrebbe restare una cartolina, solo da incorniciare ormai, seppur meravigliosa, e invece il piccolo ma profondissimo viaggio nell'Oltrepò Pavese merita un seguito, anzi, lo richiede come un obbligo morale, per chiunque voglia poter affermare di conoscere qual è la vera natura di un territorio, di una regione, addirittura di un intero paese.
Perché quello che contadini, allevatori, artigiani e geniali produttori di bontà riescono a fare in quel cuneo tra le province di Pavia, Alessandria e Piacenza, e quindi tra Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna, è una lezione viva all'intera Italia di ciò che tutti i contadini, gli allevatori, gli artigiani e i produttori dovrebbero fare del nostro paese, dando un calcio definitivo ad altri destini industriali.
Tra frutta e ortaggi, api e armenti, latte e vigne, ce n'è ben più che abbastanza per creare un campionario inimitabile che il resto del mondo al massimo potrà assaggiare e acquistare, ma mai eguagliare.
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martedì 21 ottobre 2014
Dessertmania: non la solita banana
I dessert con la frutta sono tra i più ostici, per chi li fa e per chi li mangia.
La frutta ha personalità, non sempre è facile lavorarla affinché o l'abbinamento con altre preparazioni, o la sua trasfigurazione mediante cotture la facciano diventare qualcosa di più articolato che il semplice sapore della frutta.
Nel caso della banana, poi, le soluzioni ricadono sempre su accoppiate tanto golose quanto gravose per il palato e per lo stomaco, come nel caso della banana split, su cotture ardite come la frittura in pastella o sull'utilizzo del frutto come ingrediente per torte o pani.
In questa proposta, la banana è caramellata con un equilibrio vertiginoso tra dolcezza e salinità, al suo esterno si forma una pellicola appena tenace che ne conserva l'interno invece cremosissimo, per cui quando la lingua la schiaccia sotto il palato è una detonazione di gusto.
Crema e croccante d'accompagnamento non sono casuali: volendo scartare il cioccolato, ho optato per una crema d'uovo appena appena dolce per ingentilire, e ho lasciato il sapore di cacao - grazie alle sue fave - nel biscotto sbriciolato, che contiene anche mandorle.
giovedì 2 ottobre 2014
Al b3, il genio e la raffinatezza di Daniele Cumini
Da qualche mese, a Bergamo, b3 non è più soltanto la sigla di una delle cucine di punta Bulthaup.
B3, nello splendido cortile dello showroom Ghirardelli, è la creatura di Daniele Cumini, geniale chef che dall'agriturismo di famiglia in Val Seriana è approdato in centro a Bergamo per lasciare il segno.
Del resto, tra la cucina b3, rigorosa, pulita, fatta di linee nette, con materiali di estrema qualità assemblati però con sapienza artigianale, e chi ci deve lavorare bisogna si sviluppi il giusto dialogo.
E Daniele in quel gioiello ha trovato il suo laboratorio per una cucina precisa, tagliente, con ingredienti che urlano freschezza e la capacità di distinguere quando trasformarli usando le diavolerie Bulthaup e quando invece limitarsi ad accostarli perché si esprimano per ciò che sono.
Il concetto poi è unico a Bergamo: sala che si distende lungo la vetrata che dà sull'opera di Arnaldo Pomodoro, quattro tavoli affiancati dall'apertura sulla cucina in diretta di Daniele che crea e conversa, taglia e argomenta, impiatta e ascolta per poi servire e presentare.
Per questo, oltre al business lunch e alle tapas di aperitivo, a cena in questa sorta di casa di Daniele ci si va solo su prenotazione e con almeno un giorno d'anticipo, per dargli il tempo di pensare il menù adatto alla serata.
Ho evidenziato il pensare perché di pensiero, di meditazioni, di ipotesi su come potrebbe funzionare un abbinamento, di tentativi e sperimentazioni, dietro i piatti di Daniele Cumini ce ne sono tanti, ed emergono chiari nella bocca e nella mente di chi li assaggia, permettendo di capire il progetto del giovane chef, non solo di apprezzarne bravura e competenza.
Simili qualità nei piatti vanno bilanciate con altrettanta eccellenza nel vino, e chi meglio di Alfredo Leoni di Top-Wine può scegliere le bottiglie perfette da stappare in questa raffinata cornice?
Per Top-Wine si avvicina il decennale, un lasso di tempo speso - bene! - non solo a ritagliarsi un ruolo esclusivo nella distribuzione delle etichette più esclusive tra Borgogna, Bordeaux, Champagne e Toscana, ma anche nel costruire importanti collezioni che valorizzano soprattutto il patrimonio vitivinicolo italiano.
Partiamo perciò con la garanzia di uno champagne Egly Ouriet Les Vigne de Vrigny, premier cru dal 2003, che non lascia dubbi sulla competenza di Alfredo Leoni, le cui intuizioni si riveleranno giuste, di pari passo con i piatti.
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domenica 28 settembre 2014
Al Caffè Rubini per la tre giorni del fungo
L'autunno non si è lasciato pregare più di tanto e, nonostante alcune comparsate consistenti del sole, in provincia di Bergamo ormai ci si è lasciati dietro gli ortaggi colorati dell'estate per lasciare spazio a uva, zucca, castagne e soprattutto funghi.
A Romano di Lombardia poi, l'attivissimo Gruppo Micologico Romanese ha il suo appuntamento fisso a settembre con la mostra del fungo, che i ristoratori romanesi onorano con un fine settimana di menù a base di funghi, tutti convenzionalmente attestati sui 25 €.
Ho colto così l'occasione di visitare il Caffè Rubini, storico locale di Romano di Lombardia, che oggi vive la sua doppia vita di bar e ristorante in piena salute.
Certo, tra un menù fisso a tema e una carta ce ne passa, soprattutto per questo locale, del quale si favoleggia riguardo a un mitico antipasto di mare, piatto rischiosissimo su cui prima o poi mi toglierò ogni curiosità, perché nei miei concittadini acquisiti - che chiamano pesce i molluschi e i crostacei - ho una fiducia a responsabilità limitata.
Il locale è senz'altro una perla, valorizzato dalla posizione strategica, con i due scorci sulla piazza del centro da una parte e sulla rocca dall'altra, e si conserva con grande coerenza rispetto al borgo antico nel quale è immerso.
Così, mentre fuori passano figuranti in abiti medievali per la consueta sfilata, la serata del fungo può cominciare.
A Romano di Lombardia poi, l'attivissimo Gruppo Micologico Romanese ha il suo appuntamento fisso a settembre con la mostra del fungo, che i ristoratori romanesi onorano con un fine settimana di menù a base di funghi, tutti convenzionalmente attestati sui 25 €.
Ho colto così l'occasione di visitare il Caffè Rubini, storico locale di Romano di Lombardia, che oggi vive la sua doppia vita di bar e ristorante in piena salute.
Certo, tra un menù fisso a tema e una carta ce ne passa, soprattutto per questo locale, del quale si favoleggia riguardo a un mitico antipasto di mare, piatto rischiosissimo su cui prima o poi mi toglierò ogni curiosità, perché nei miei concittadini acquisiti - che chiamano pesce i molluschi e i crostacei - ho una fiducia a responsabilità limitata.
Il locale è senz'altro una perla, valorizzato dalla posizione strategica, con i due scorci sulla piazza del centro da una parte e sulla rocca dall'altra, e si conserva con grande coerenza rispetto al borgo antico nel quale è immerso.
Così, mentre fuori passano figuranti in abiti medievali per la consueta sfilata, la serata del fungo può cominciare.
giovedì 25 settembre 2014
Colatura di alici: acqua per impazzire di piacere
Questa non è una ricetta, è un atto di rispetto.
Non è una ricetta perché non c'è alcuna trasformazione da parte mia degli elementi, fatto salvo l'uso delle dita per giustapporli.
In genere, una ricetta comporta un processo che modifica la vera e propria struttura di almeno una parte degli ingredienti, ma qui - a eccezione della trasformazione degli amidi della pasta attraverso l'infusione - gli ingredienti neanche si cuociono.
Però è un atto di rispetto, dicevo.
Rispetto per delle materie prime, degli elementi di partenza, dei prodotti che già da soli costituiscono pura eccellenza.
Il titolo lo annuncia, colatura di alici.
E potrai cercare quanto vuoi, non esistono ricette per usare la colatura di alici, nessuno si sognerebbe mai di disperderla in una pentola che cuoce, di mescolarla ad altre sostanze che rischierebbero di soffocarla, di sprecarla, insomma.
Per farla, a Cetara prima pescano le alici a cavallo tra primavera ed estate, poi le pressano col sale generando una lenta maturazione, e così dal pesce stilla quest'ambra preziosa, ma non contenti le fanno fare un secondo giro di colatura per essere proprio sicuri che ogni minima particella di gusto si inglobi nelle molecole d'acqua, e quando l'assaggi c'è tutta la storia di quelle migliaia di alici schiacciate ed eroiche.
Per avere rispetto di un tale filtro magico bisogna innanzitutto attenersi alla storia, più che alla tradizione.
E la storia dei cetaresi prescrive di usare la colatura di alici, a crudo, con la pasta.
Stop.
Sì, poi ci mettiamo grasso e odori, va bene, ma i due pilastri restano loro: la colatura di alici, e la pasta.
Una pasta che sia in grado di sostenere la forza della colatura dev'essere una grande, grandissima pasta.
E qui vengo al dunque.
Quando compri la colatura di alici stai comprando un distillato di felicità che arriva direttamente dalla fatica di un popolo.
Puoi risparmiare e comprare qualcosa che della colatura ne porta il nome, ma che è più trasparente di un tè leggero.
Oppure puoi scegliere di spendere le giuste centinaia di euro al litro - tanto la compri a decilitro e la usi a cucchiaini - perché, come si dice, il risparmio non è mai guadagno.
E per la pasta?
Considerato che le paste comuni oscillano dai due ai tre euro al chilo, io ti garantisco che per il doppio di quel prezzo o poco più - e sto parlando di chilo, non della porzioncina da mangiare - puoi acquistare paste che hanno ricevuto i più grandi riconoscimenti e che ti faranno seriamente dubitare di quello che hai sempre mangiato.
Non faccio nomi, né per la colatura né per la pasta, se no qualcuno pensa che sia una marchetta, ma se ti dico che sono spaghettoni e che fanno impazzire di piacere ci puoi arrivare anche tu.
mercoledì 24 settembre 2014
Da Vittorio, lo street food è stellare
Un incontro insolito, forse impensabile, un atto di coraggio che solo i grandi sanno compiere.
Oppure una naturale conseguenza della ricerca gastronomica, delle eccellenze del nostro territorio o semplicemente del buono.
Non so quale delle due strade abbia seguito la mente creativa di Chicco Cerea - patron del tristellato Da Vittorio - quando ha ideato Gli artisti dello Street Food 2014, sicuramente uno degli eventi fondamentali dell'anno, ma so per certo che ciò a cui ho assistito ieri sera alla Cantalupa non è stata solo una festa del gusto, bensì una lezione di antropologia culturale purissima e soprattutto un la squillante lanciato alla cieca politica italiana.
Solo i grandi non temono di confrontarsi, e ci voleva uno chef di questa caratura per mostrare come sia possibile - non solo ai grandi maestri della cucina, troppo spesso chiusi nella loro torre - dialogare con la miriade di artigiani del gusto italiani, offrire loro la visibilità che meritano, e ricordare a tutti che paese siamo, che storie condividiamo, che tradizioni solcano la nostra formazione mentale e culturale, e che basta soltanto creare le condizioni affinché tutto il ben di Dio che si produce in Italia sia conosciuto, per avere un successo stratosferico.
Tempo fa qualcuno per esempio aveva avanzato la candidatura di Petrini a presidente della Repubblica, e forse l'idea non meritava di essere presa solo come una provocazione, se in Francia il prossimo Conseil de promotion du tourisme si avvarrà della presenza di Ducasse, Robuchon e Savoy.
Forse chiedere agli chef italiani un parere su come valorizzare veramente il patrimonio enogastronomico italico - ossia trasformare in denaro le risorse! - sarebbe la cosa più sensata, e l'esperimento di ieri sera, anche se statisticamente non probante, ha dimostrato che la gente sa riconoscerne il valore, se chiamata partecipa, e non ci sono più confini-barriera, la diversità regionale diventa l'arma segreta che moltiplica la ricchezza.
Finito il pistolotto politico, va da sé che la sfilza di leccornie stupefacenti, disseminate a bordo piscina, e la bravura degli artigiani invitati a far assaggiare le loro creazioni ha avuto dell'incredibile.
Creazioni che ognuno di essi realizza quotidianamente, in una cornice di normalità, che per una sera - grazie allo sfondo lussuoso della Cantalupa - acquistano prestigio ma soprattutto dimostrano di meritarselo tutto.
Così, dopo lo spritz iniziale, la passeggiata tra le bancarelle può cominciare.
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lunedì 22 settembre 2014
Gourmet in trasferta: da Vuolo, l'eccellenza dell'umiltà
A Napoli il fermento del fenomeno-pizza sembra inarrestabile, e oggi i più importanti pizzaioli partenopei godono della stessa fama degli chef che affollano le televisioni, e dilagano nelle guide facendo incetta di premi e riconoscimenti.
Se contiamo le presenze, le iniziative, e i risultati ottenuti dai maestri della pizza di Napoli nell'ultimo paio di mesi - tra gli spicchi del Gambero Rosso, gli inviti nei templi dell'alta cucina, il matrimonio sempre più consolidato con grandi produttori di vino, come accaduto al festival di Franciacorta - non c'è nessun altro professionista della gastronomia investito a tal punto di visibilità, interesse e importanza.
La città che ha inventato la pizza non smette di approfondirla, cesellarla, perfezionarla, riuscendo però sempre a mantenere il rapporto corretto con la tradizione.
Eppure a Napoli, nel neonato Eccellenze Campane, ha trovato casa un pizzaiolo di tradizione, la cui forza non sta nell'immagine mediatica, nella macchina comunicativa, nel presenzialismo che a volte può decentrare l'attenzione dal prodotto principale, la pizza.
Con l'umiltà di chi ha imparato sin da bambino un mestiere, passatogli dal padre, Guglielmo Vuolo è riuscito ad avere gli stessi riconoscimenti di altri pizzaioli ben esposti ai riflettori, con la sola forza della capacità artigianale, della scelta degli ingredienti, della gestione del forno (un forno nuovo, anzi due, uno dei passaggi più difficili per un pizzaiolo).
martedì 2 settembre 2014
Gourmet in trasferta: fratelli Salvo, oltre i confini della pizza
Fare la pizza oggi a Napoli e nella sua provincia vuol dire avere il coraggio di confrontarsi con una tradizione più che secolare che può pesare come un macigno, perché la pizza è intoccabile e a volte lo è anche il folclore che gli si dipinge attorno.
Fare la pizza in questo territorio vuol dire mettersi in gioco con una concorrenza sterminata di bravi artigiani, tutti o quasi capaci oggi di ottenere il meglio da quel miscuglio semplice di acqua, farina, lievito e sale, e distinguersi è un'impresa, ma anche un imperativo.
Fare la pizza in queste condizioni e portare anche il cognome Salvo vuol dire infine sobbarcarsi il peso di una storia familiare illustre nel mondo della pizza, e sapere che, comunque vada, le persone tenderanno a semplificare, a vedere faide dove non ci sono, a fare improbabili classifiche che finiranno solo per dividere ciò che invece si dovrebbe sempre più unire e rinforzare: la potenza sul mercato mondiale dell'artigianato dei pizzaioli napoletani.
Fronteggiare queste difficoltà richiede una visione ampia, capace di andare oltre i confini della pizza e basta, ma saper guardare all'eccellenza degli ingredienti, equilibrare la qualità con i grandi numeri - perché di pizze se ne continueranno sempre a vendere numeri spropositati - e nello stesso tempo aprirsi a nuove esplorazioni e abbinamenti, sdoganando la pizza dalla semplice birretta e accostandola per esaltarla alle migliori etichette di vini italiani e internazionali, nonché realizzare un ambiente che trasmetta al cliente cura meticolosa, attenzione puntuale, coordinazione e precisione millimetrica dei dettagli.
Il modo in cui Francesco e Salvatore Salvo si misurano con la tradizione è rispettoso e nello stesso tempo indipendente, e se da un lato potenziano la bontà delle pizze tradizionali con ingredienti di qualità elevata, dall'altro giocano con il rapporto stesso che non solo il ristoratore ma anche il cliente ha o crede di avere con la tradizione.
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lunedì 1 settembre 2014
Gourmet in trasferta: in principio era Gorizia
Da adolescente napoletano e vomerese, pensare alla pizzeria Gorizia significava già fare i conti con un pezzo di storia del mio quartiere, della città, e della storia della pizza napoletana.
Da quarantenne, emigrato, e appassionato sostenitore del piatto più geniale della storia umana, l'emozione di rimettere piede da Gorizia equivale a quella di chi si addentra in un monumento ultramillenario, di chi schiaccia il bottone di una immaginaria macchina del tempo, di chi comprende che il flusso della storia può sembrare - mentre lo si vive - confusionario e catastrofico ma che, sulla lunga distanza, dimostra sempre di aver ragione.
Nel 1916 Salvatore Grasso, figlio del pizzaiolo Antonio, si toglie la soddisfazione di aprire la sua pizzeria al Vomero, intitolandola in onore della città appena conquistata nel primo conflitto mondiale.
Da allora, un successo crescente con altre due date importanti, gli anni sessanta, con l'apertura della seconda omonima pizzeria, fino all'anno in corso, nel quale ha aperto la loro terza creatura, sempre al Vomero.
Questa storia si può leggere sul menù, sul loro sito, sui diversi blog che giustamente parlano di luogo memorabile.
Quindi, da novantotto anni tra queste mura, senza interruzione e stravolgimenti, si continua a sfornare pizze buonissime, pienamente rispettose della tradizione, perfezionate dall'evoluzione tecnica che ha investito il mondo della pizza degli ultimi tempi, senza stare per forza nel centro storico e senza gridare la propria presenza mediatica.
Ma la storia - quella con la S maiuscola - ha ragione, dicevo: se pensiamo ai grandi nomi della pizza napoletana contemporanea, quelli che ormai sono investiti di chiara fama ben oltre i confini partenopei, notiamo che la metà di questi non sarebbero nemmeno esistiti senza la pizzeria Gorizia.
Infatti, la figlia di Salvatore Grasso, Anna, sposò un Salvo, la cui discendenza oggi tiene in vita e in salute due se non addirittura tre delle pizzerie fondamentali di Napoli e dintorni.
Con il classico brivido lungo la schiena, al pensiero di essere immerso nel DNA della pizza napoletana, posso iniziare a godere delle bontà in arrivo.
domenica 31 agosto 2014
Gourmet in trasferta: Manna sotto il cielo di Milano
Manna, quel locale di Milano carino anche se la zona non è trendy...
Manna, ovvero Fronduti, quello che fa lo chef ma sembra piuttosto un biker o il fratello aggiunto di una rock band...
Manna, quello dei piatti dai nomi strani e che il gigantesco - in tutti i sensi - cuoco non vedrebbe l'ora di spiegarti se solo riesci a non farti intimidire dal suo fare ai limiti del brusco...
Nel leggere di Manna, il ristorante di piazzale Governo Provvisorio a Milano, ci si imbatte sempre in questo minicopione, con il gourmet che impatta in certe apparenti stramberie per poi sciogliersi in una soddisfazione quasi infantile nel papparsi le cose ancestralmente buone che Matteo Fronduti sa preparare.
Molto intrigante però la sua idea di proporre quella mezza porzione che una volta era istituzionale nelle osterie, per andare incontro alle tasche più ristrette, mentre qui l'intento è non solo citare l'usanza quanto davvero consentire più assaggi.
Mano generosa nel calice di Gavi La Fornace e l'esperimento mezze porzioni può partire, sebbene a pranzo ci sia il menù completo con 18 €, anche se i piatti cambiano rispetto a quelli fissi in carta.
lunedì 21 luglio 2014
Gourmet in trasferta: Magorabin incanta Torino
Se il nome - che si rifà a una sorta di uomo nero di epoche antiche - è conseguenza dei fatti, sui fatti portentosi di Marcello Trentini - il Magorabin dell'esoterica Torino - si è detto e ridetto, dai vistosi dreadlocks all'ardore/ardire nel rifare la tradizione, dalle provocazioni sui prodotti fuori stagione a chilometro sterminato al tirare fino al limite l'equilibrio delle portate, giusto per citare alcuni dei suoi incantesimi più gettonati tra le penne e le tastiere che raccontano la gastronomia.
Dev'essere emozionante per uno chef festeggiare i dieci anni del proprio ristorante e ricevere in regalo la prima stella Michelin.
A Marcello Trentini è successo nel 2013, anno del decennale e quindi dell'idea di presentare tra i menù degustazione un percorso I Classici, con sette portate rappresentative di questo incantesimo destinato a perdurare.
Certo, a Torino la magia è più che di casa, e quindi - sotto l'aura di una Mole che sbuca e svetta a guardia di Corso San Maurizio - i prodigi prendono vita.
giovedì 17 luglio 2014
Paratico: Salvatore Iermano porta la pizza sull'Olimpo
Comincia con una improvvisata ma efficace lezione sulla pizza, la serata organizzata all'Olimpo Cafè di Paratico, che vede alla postazione di pizzaiolo Salvatore Iermano e la sua pizza napoletana.
Prima di ammaccare, conciare e infornare, Salvatore ci tiene a puntualizzare agli ospiti alcuni dettagli fondamentali.
Abituati a una pizza bassa e croccante ai limiti della friabilità, i lombardi hanno un'immagine della pizza napoletana come qualcosa di più alto e panoso.
Salvatore invece precisa che la pizza napoletana è sottile, benché contornata dal naturale rigonfiamento del cornicione, ma che la sua caratteristica distintiva è la sofficità.
La pizza napoletana, com'è noto, nasce da strada, e per mangiarla era necessario piegarla in quattro - o a portafoglio - cosa impossibile con quella croccantezza di certe pizze del nord imparentate coi crackers.
Salvatore si appassiona alla sua orazione in omaggio alla pizza, e approfondisce: l'impasto non ha lievito ma criscito naturale, una variante di quello che oggi chiamiamo lievito madre ma che a Napoli e dintorni da sempre si utilizza.
Come se non bastasse, la lievitazione è durata ventiquattr'ore, per cui non c'è pericolo né che la pizza gravi sullo stomaco, né che induca a bere per tutta la notte, a causa degli enzimi che hanno bisogno di completare la maturazione della pasta.
Sono tutti bravi a fare la pizza oggi, commenta Salvatore, poi con la crisi molti si improvvisano, ma tu non puoi fare l'impasto tre ore prima, mettere 100 g. di lievito per farla lievitare, e dopo fare la pizza, perché continuerà a crescere nella pancia di chi l'ha mangiata.
Il siparietto non è solo di circostanza, non si tratta soltanto di presentare l'ospite: Salvatore Iermano è il docente della Autentica Pizza Napoletana, che si occupa di tutta la filiera della pizza, dalla formazione dei pizzaioli alla produzione della farina, fino all'affiliazione di professionisti certificati.
Autentica Pizza Napoletana è il ramo partenopeo di Pizza Italiana Academy - che ha tra i docenti Omar Patussi, il pizzaiolo dell'Olimpo Cafè - a sua volta parte di un network con sedi internazionali, per la formazione professionale in campo gastronomico.
Il programma della serata/dimostrazione - 18 € - prevede quattro assaggi da pizze differenti, abbinate a quattro birre artigianali, in una panoramica sul più classico degli abbinamenti pizza/birra, in una sera dal clima dolce, immersi nelle colline a ridosso del lago d'Iseo.
Il forno, con i suoi 400 e passa gradi è pronto, e la degustazione può cominciare.
martedì 8 luglio 2014
Cucinare secondo le stagioni: peperoncini verdi
Curiosa coincidenza, per un partenopeo in terra lombarda, ritrovare il peperoncino verde - diffusamente denominato friggitello - anche nella pianura Padana e addirittura protagonista di una ricetta a Denominazione Comunale.
Se infatti in Campania 'e puparulille sono consueti in estate, fritti e ripassati col pomodoro, a Trescore Cremasco trovano addirittura la loro patria in una ricetta semplice e potente come le tighe col Salva Cremasco, fatta riconoscere De. Co. da Antonio Bonetti del Bistek.
La tiga, nell'idioma locale, è una botta, una sberla, e poiché i peperoncini acquistano potenza grazie all'aceto nel quale vengono conservati, ecco il curioso nomignolo che più appropriato non si può.
In cerca di gemellaggi felici, dunque, mi piace usare questi peperoncini arrivati da un orto che più lombardo non si può in una perla della mia tradizione originaria.
domenica 6 luglio 2014
A Romano, il Portichetto ti sorprende...
In una Romano di Lombardia euforica per la notte bianca, quando il fiume di gente si fa impetuoso e gironzolare in bicicletta è peggio che affrontare le rapide.
Le sere che cambiano pelle da un momento all'altro sono le migliori, ed è un sollievo ritrovarmi al ristorante il Portichetto dopo un pedalare vago e inefficace, tentato dal tornare a casa e tuttavia convinto di trovare il giusto ristoro, sotto il portico di Fabio Marchini e sua moglie.
Ma prima di approdarci, guardo in alto, la mezza luna nel blu stellato non ha dubbi, è dalla parte dei romanesi e della notte che si sono dedicati, però la gimkana tra i tavoloni sui quali si strafocano pane e salamelle, patatine e birre e che entrano persino dentro la camera della banca per il bancomat è un vero safari.
Io però voglio festeggiare comodo e, incatenata la bici che del resto non fa gola a nessuno, cerco io qualcosa che mi faccia gola.
C'è troppa gente a Romano stasera, i ristoratori non vogliono farsi scappare l'occasione, chi è questo avventore solitario che pretende col suo sedere di occupare un tavolo e magari mangiare un piatto e mezzo, quando al suo posto potrei farne sedere quattro presi a caso da questa calca che tracima dalla strada fin dentro i ristoranti e incassare qualche euro in più?
Così per tre volte mi sono sentito dire, tra il titubante e la cattiva improvvisazione, non c'è posto o è prenotato o un generico e insostenibile mi dispiace ma non è possibile.
E ora, ciclista gourmet fai da te, come te la sbrighi, se anche spostandoti al confine del paese quell'estremo ristorante ha chiuso per trasformarsi in una sera in improvvisata griglieria da fiera?
Per fortuna il mio senso civico mi fa seguire i sensi di marcia giusti, nonostante la bici, e approdo nei pressi di via dell'Armonia, ma qui c'è il Portichetto, quante volte mi ha tentato, nei miei ritorni dal lavoro a pranzo e ho sempre rimandato in vista di una ipotetica cena?
Ed eccola qui, la cena, che da ipotesi si trasforma in fatto compiuto, eccolo qui, il Portichetto di Fabio e Angela, che coniuga nido d'amore e dispensa di delizie.
La buona mano e l'attenzione alle materie di lui, la premura e la competenza enologica di lei, in una conduzione familiare che è buona senza essere alla buona, fanno di questo piccolo ristorante un gioiello che una parte di me vorrebbe in piena luce, pronto ad accogliere frotte di avventori, ma l'altra parte - quella che prevale stasera - benedice la sua location ombrosa e tranquilla, proprio sotto il portico delle nuove costruzioni a ridosso del centro.
Ho letto in giro una sottolineatura sul fatto che non abbiano una carta scritta, il che è vero, ma questo, oltre a essere indice di una freschezza reale delle materie, non vuol dire che non si possa verificare il costo, visto che il menù fornito dalla padrona di casa serve proprio informare che antipasti e primi viaggiano sui 9 €, i secondi di pesce 13, e la carne ha prezzi al chilo nettamente sotto la media.
Falso invece che non ci sia la carta dei vini, anzi, è ben calibrata e minuziosamente messa a punto da Angela stessa, persino nella scelta del vino da servire al calice.
Ispirazioni liguri e toscane danno il la alla creatività e alla sapienza di Fabio, e così si può cominciare.
Le sere che cambiano pelle da un momento all'altro sono le migliori, ed è un sollievo ritrovarmi al ristorante il Portichetto dopo un pedalare vago e inefficace, tentato dal tornare a casa e tuttavia convinto di trovare il giusto ristoro, sotto il portico di Fabio Marchini e sua moglie.
Ma prima di approdarci, guardo in alto, la mezza luna nel blu stellato non ha dubbi, è dalla parte dei romanesi e della notte che si sono dedicati, però la gimkana tra i tavoloni sui quali si strafocano pane e salamelle, patatine e birre e che entrano persino dentro la camera della banca per il bancomat è un vero safari.
Io però voglio festeggiare comodo e, incatenata la bici che del resto non fa gola a nessuno, cerco io qualcosa che mi faccia gola.
C'è troppa gente a Romano stasera, i ristoratori non vogliono farsi scappare l'occasione, chi è questo avventore solitario che pretende col suo sedere di occupare un tavolo e magari mangiare un piatto e mezzo, quando al suo posto potrei farne sedere quattro presi a caso da questa calca che tracima dalla strada fin dentro i ristoranti e incassare qualche euro in più?
Così per tre volte mi sono sentito dire, tra il titubante e la cattiva improvvisazione, non c'è posto o è prenotato o un generico e insostenibile mi dispiace ma non è possibile.
E ora, ciclista gourmet fai da te, come te la sbrighi, se anche spostandoti al confine del paese quell'estremo ristorante ha chiuso per trasformarsi in una sera in improvvisata griglieria da fiera?
Per fortuna il mio senso civico mi fa seguire i sensi di marcia giusti, nonostante la bici, e approdo nei pressi di via dell'Armonia, ma qui c'è il Portichetto, quante volte mi ha tentato, nei miei ritorni dal lavoro a pranzo e ho sempre rimandato in vista di una ipotetica cena?
Ed eccola qui, la cena, che da ipotesi si trasforma in fatto compiuto, eccolo qui, il Portichetto di Fabio e Angela, che coniuga nido d'amore e dispensa di delizie.
La buona mano e l'attenzione alle materie di lui, la premura e la competenza enologica di lei, in una conduzione familiare che è buona senza essere alla buona, fanno di questo piccolo ristorante un gioiello che una parte di me vorrebbe in piena luce, pronto ad accogliere frotte di avventori, ma l'altra parte - quella che prevale stasera - benedice la sua location ombrosa e tranquilla, proprio sotto il portico delle nuove costruzioni a ridosso del centro.
Ho letto in giro una sottolineatura sul fatto che non abbiano una carta scritta, il che è vero, ma questo, oltre a essere indice di una freschezza reale delle materie, non vuol dire che non si possa verificare il costo, visto che il menù fornito dalla padrona di casa serve proprio informare che antipasti e primi viaggiano sui 9 €, i secondi di pesce 13, e la carne ha prezzi al chilo nettamente sotto la media.
Falso invece che non ci sia la carta dei vini, anzi, è ben calibrata e minuziosamente messa a punto da Angela stessa, persino nella scelta del vino da servire al calice.
Ispirazioni liguri e toscane danno il la alla creatività e alla sapienza di Fabio, e così si può cominciare.
venerdì 4 luglio 2014
Burro&Alici: un Torrente in Franciacorta
Se la saggezza del padre è il più grande ammaestramento per i figli, qui a Erbusco l'avventura di Burro&Alici - Locanda di mare comincia con buoni auspici.
Quest'anno infatti Pasquale Torrente si è regalato per i suoi primi cinquant'anni un 2014 trionfale.
Dopo la testa di ponte della cuopperia da Eataly Smeraldo, piazza un altro fondamentale avamposto in Lombardia, e fa aprire Burro&Alici - Locanda di mare a suo figlio Gaetano, che è molto più bravo di me, dice nel discorso inaugurale, lui ha studiato e qui potrà crescere bene.
L'idea stessa di portare la cucina rapida ed essenziale di Cetara in Franciacorta ha a sua volta un padre notevole, padre della Franciacorta stessa, cioè Vittorio Moretti - l'imprenditore che dal 1977 ha impresso uno slancio verso l'eccellenza a tutta l'area vitivinicola - bravo a individuare in Pasquale Torrente l'uomo giusto per incarnare il suo desiderio di trasformare il bel cascinale seicentesco, incorniciato di filari, - già Mongolfiera dei Sodi - in un varco bidimensionale per trasportare i commensali nelle atmosfere amalfitane.
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giovedì 26 giugno 2014
Cucinare secondo le stagioni: il mito degli spaghetti alla Nerano
La cucina, come tutte le autentiche espressioni dell'umanità, è intessuta di storie che ammantano i fatti, e di altre storie che cercano di districare le prime.
Caso esemplare, gli spaghetti con le zucchine di Maria Grazia a Marina del Cantone, in cui la vicenda sui natali del piatto trova il suo sequel nei tentativi di risolvere il mistero della sua tuttora sconosciuta ricetta.
Sul sito del ristorante, con schiettezza si parla di un piatto nato quasi per gioco nel 1952 e che ha radicalmente cambiato in termini di notorietà il destino di Maria Grazia e del suo ristorante.
Si sa che ci sono le zucchine fritte, si sa che c'è del formaggio, si capisce che il tutto viene amalgamato con una sapiente mantecatura, ma in termini di dosi, di tempi, di procedimento, di rapporto tra quantità e qualità di formaggio, acqua, zucchine e condimento il buio è fitto e la caccia al tesoro, cominciata già da decenni, è ancora irrisolta.
Prima di friggerle, è giusto far asciugare le zucchine, al sole o magari essiccandole leggermente?
Vanno tagliate sottili o a cubetti?
Una volta fritte e ben asciugate, è corretto passarne o frullarne una parte per garantire una certa cremosità?
La pasta si salta nell'olio o nel burro?
Ci va il caciocavallo, il provolone del Monaco, formaggi stagionati in genere, o bisogna aprire il campo ai latticini più asciutti?
La cremosità è frutto della sola mantecatura, o ci si aiuta con tuorlo d'uovo, amidi, o addirittura un pugno di semola, come certi sedicenti testimoni asseriscono?
A questo punto, per evitare che il caso diventi una puntata di quelle trasmissioni indigeribili sui misteri, la risposta è una sola: onore al merito di Maria Grazia e dei suoi spaghetti, e largo a chi vorrà omaggiarla tentando di farli.
Dopo il ricordo in forma di gnocchi, le zucchine avanzate dalla parmigiana meritavano di essere dedicate a un altro piatto che porta l'estate in ogni sua molecola.
Senza alcuna pretesa di rifare l'originale, ma semplicemente con l'intento di cucinare qualcosa di buono.
mercoledì 25 giugno 2014
Cucinare secondo le stagioni: parmigiana di zucchine
Premessa l'intoccabilità della parmigiana di melanzane, semel in anno licet coquinare quella con le zucchine, anche soltanto perché l'estate porta al loro meglio questi ortaggi.
In realtà, ne avevamo già parlato qui, le fonti attestano come parmigiana originaria, la ur-parmigiana, proprio quella di zucchine, antecedente alla diffusione del pomodoro, e insaporita con un intingolo di uova e formaggio che si identifica come condimento alla parmigiana.
La diffusione della variante con melanzane e pomodoro ha fatto sì che anche la versione con le zucchine alla fine si prepari quasi come la sua sorella più famosa.
Ed è un quasi di non poca importanza: infatti, nella parmigiana di melanzane napoletana le melanzane subiscono una frittura diretta, mentre già allargandosi alla provincia si diffonde sempre di più l'uso di passare le fette di ortaggio nella farina e nell'uovo.
Questa discrepanza, invece, non esiste per la parmigiana di zucchine, che anche a Napoli si fa ufficialmente friggendo le zucchine solo dopo averle infarinate e immerse nelle uova sbattute.
La zucchina però non è la melanzana: non puoi lasciarla spessa, altrimenti assorbirà l'olio di cottura; se la tagli a dovere ti troverai una montagna di fettine di zucchina da dorare e friggere, e quindi un lavorone anche più grosso dell'altra; il suo sapore non è intenso come quello della melanzana, e laddove nell'altra prevalgono acidità e amaro, la più tenue zucchina rischia di sparire accanto al saporito formaggio e al dolce pomodoro, motivo per cui bisogna farne una quantità industriale e stratificare molto di più la preparazione.
Tuttavia, il risultato è così sorprendente che vale veramente la pena affrontare il cimento e regalarsi questa delizia, omaggio alla bellezza del mondo nella calda stagione.
Rossopomodoro, sognando Napoli
Associare la tradizione, qualsiasi tradizione, alla catena di (ri)produzione non è impresa leggera.
Ma la pizza è piatto troppo famoso, goloso e popolare per non essere oggetto di simili tentativi, e non da poco tempo.
Rossopomodoro infatti è l'evoluzione di altre iniziative che, dopo aver visto la luce a Napoli città, si sono pian piano diffuse sul territorio nazionale, con sedi importanti a Roma e a Milano, e poi hanno ampliato le loro mire espansionistiche, per diffondere la cultura gastronomica partenopea ed esportare la pizza napoletana.
Anche nel cuore di Bergamo, nella centralissima via Angelo Maj, da più di un anno Rossopomodoro ha trovato il suo avamposto per affascinare i palati orobici con le delizie partenopee, puntando però anche sugli onnipresenti napoletani emigrati che naturalmente non mancano mai all'appello.
In un mezzogiorno che si annuncia infuocato, la sala che fa il verso alla popolarità, con il legno e il bianco, e tuttavia si inserisce nel contemporaneo con le vetrate, è pronta a ospitare lavoratori, pendolari, buongustai, turisti e chiunque abbia voglia di assaggiare le specialità napoletane.
Il menù è strutturato in maniera accorta alle nuove sensibilità: prodotti selezionati, non scontati, abbinamenti interessanti senza essere astrusi, pizze pienamente tradizionali e pizze che valorizzano le peculiarità territoriali, grazie anche a prodotti artigianali e presìdi Slow Food.
Accetto di virare sulla birra - Peroni riserva - gioco forza, dato che oltre al vino della casa - eccessivamente dolce per una cosa succulenta come la pizza - mi viene proposta solo un'etichetta troppo tannica mentre di quello che sarebbe stato ideale, cioè il Gragnano, ce n'è solo una mezza bottiglia da esposizione e sono in attesa di arrivi miracolosi.
domenica 15 giugno 2014
Gli spaghetti come Dio comanda: omaggio a Frank Rizzuti
Ogni tanto viene voglia di fare le cose come Dio comanda.
E in questa estate bergamasca che si scopre temporalesca, mi viene in mente che anche Dio, per fare gli spaghetti al pomodoro come lui stesso dovrebbe comandare, ha voluto chiamare accanto a sé Frank Rizzuti per insegnargli come si fa.
Questa è la domenica nella quale penso a come sarebbe stato bello andare a conoscerlo, indipendentemente dal riconoscimento della Michelin avuto pochissimo tempo prima di lasciare questo mondo.
Basilicata - come la mia Campania e tutto il Sud - vuol dire terra di sincerità, nella quale è più bravo a cucinare chi si sporca le mani con la storia della gastronomia locale, anche con le pagine più scure.
Penso alla prima sua ricetta incrociata sul web, che fece da Galeotto per me nei suoi confronti, addirittura un'acquasale, roba che i contadini del secolo scorso sfruttati e sotto - ma proprio sotto - pagati mangiavano per non sbattere a terra dalla fatica, intingendo il pane nero - e quando dico nero, intendo dire proprio black - in approssimate brodaglie per tirare a campare ancora un altro giorno.
Poi, un suo commento in cui rivela che lui lo spaghetto al pomodoro lo fa senza l'aglio soffritto di partenza, ma facendo asciugare - non del tutto, si raccomanda - i San Marzano e completando la cottura della pasta in padella.
Dev'essere stato lì che Dio, come tutti noi che leggemmo quella sua idea, così semplice, pulita e precisa come una stoccata, capì che neanche Lui avrebbe potuto fare uno spaghetto al pomodoro di divina fattura, anche leggendo e rileggendo la ricetta.
Come può essere, si sarà domandato, che una trovata così geniale non è venuta a me che so già tutto?
E come può essere, si sono detti tutti quelli che in un modo o nell'altro hanno sentito l'unico sentimento possibile verso quest'uomo, l'amore, che si debba subire una simile prova dell'ingiustizia di questa vita?
E come può essere, indegnamente chiudo io, che abbia aspettato così tanto, da quando ne ho letto, a fare questi inarrivabili spaghetti, così come ha insegnato Frank Rizzuti?
domenica 1 giugno 2014
A caccia di osterie: da Giuliana D'Ambrosio
A via Broseta, una sera di fine primavera, di quelle che ti pungolano a camminare per trovare un ristoro, è proprio il caso di dirlo.
Cielo incerto, arietta addosso, ci vorrebbe uno spazio aperto ma riparato, che so?, una bella veranda, dove magari assaggiare qualcosa di semplice ma soddisfacente.
Questa è la serata in cui la veranda di Giuliana D'Ambrosio può acquistare ancor più fascino, se mai ne abbia bisogno.
Quando vai alla trattoria D'Ambrosio, con i suoi tavoloni dove a volte siedono persone che non sanno ancora quanto sarà bello conoscersi di lì a poco, hai la sensazione di un'orgia della degustazione, tutti provano un immenso piacere gustativo e un meraviglioso benessere in quest'ovattata isola in cui Giuliana e la sua squadrona fanno sempre gol, come la sua amata Atalanta che la porta a chiudere il locale quando c'è da andare allo stadio.
I numeri fanno effetto: non c'è un buco libero eppure i commensali si susseguono, davanti alla cassa è un andirivieni di chi sta per sedersi a mangiare e di chi si congeda pagando quei 18, 20, massimo 25 € - per i golosi da tris di primi - e soprattutto ringrazia la Giuliana per il semplice fatto di esistere e di resistere, lei che qualche anno fa, dopo una serie di traversie private, aveva rischiato la chiusura.
Donna forte, di radici meridionali, papà che scommette sul caffè con bocciofila in un punto di Bergamo bassa oltre il quale c'erano solo campi, e che le vicende e le sfortune hanno portato sin da ragazzina a dedicarsi alla cucina e alla trattoria, diventando poi non tanto la sua fortuna, quanto la testimonianza di una dignità.
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