mercoledì 25 giugno 2014

Rossopomodoro, sognando Napoli


Associare la tradizione, qualsiasi tradizione, alla catena di (ri)produzione non è impresa leggera.

Ma la pizza è piatto troppo famoso, goloso e popolare per non essere oggetto di simili tentativi, e non da poco tempo.

Rossopomodoro infatti è l'evoluzione di altre iniziative che, dopo aver visto la luce a Napoli città, si sono pian piano diffuse sul territorio nazionale, con sedi importanti a Roma e a Milano, e poi hanno ampliato le loro mire espansionistiche, per diffondere la cultura gastronomica partenopea ed esportare la pizza napoletana.

Anche nel cuore di Bergamo, nella centralissima via Angelo Maj, da più di un anno Rossopomodoro ha trovato il suo avamposto per affascinare i palati orobici con le delizie partenopee, puntando però anche sugli onnipresenti napoletani emigrati che naturalmente non mancano mai all'appello.


In un mezzogiorno che si annuncia infuocato, la sala che fa il verso alla popolarità, con il legno e il bianco, e tuttavia si inserisce nel contemporaneo con le vetrate, è pronta a ospitare lavoratori, pendolari, buongustai, turisti e chiunque abbia voglia di assaggiare le specialità napoletane.

Il menù è strutturato in maniera accorta alle nuove sensibilità: prodotti selezionati, non scontati, abbinamenti interessanti senza essere astrusi, pizze pienamente tradizionali e pizze che valorizzano le peculiarità territoriali, grazie anche a prodotti artigianali e presìdi Slow Food.

Accetto di virare sulla birra - Peroni riserva - gioco forza, dato che oltre al vino della casa - eccessivamente dolce per una cosa succulenta come la pizza - mi viene proposta solo un'etichetta troppo tannica mentre di quello che sarebbe stato ideale, cioè il Gragnano, ce n'è solo una mezza bottiglia da esposizione e sono in attesa di arrivi miracolosi.



E parto subito dal pregio: la presenza della pizza fritta - denominata in memoria della sua mitica creatrice Chicchinese - cioè di qualcosa che ormai anche il napoletano emigrato è costretto a viversi come una rarità.

La pregusto già quando il pizzaiolo la stende, la cosparge di provola, poi aggiunge il salame, la impreziosisce con la ricotta di bufala.

Alla chiusura a mezza luna, con giusta intensità schiaccia bene il bordo affinché in padella non fuoriesca nulla del prezioso tesoro contenuto nello scrigno.

La pizza arriva gloriosamente bollente, forse meritevole di una lieve asciugatura in superficie, ma pronta a regalare il suo sapore dorato e il suo scioglievole ripieno.

La sezione delle pizze presìdio Slow Food risulta molto attraente, anche se prodotti notevoli campeggiano qua e là nel resto della lista.

Delle tre pizze proposte, la più articolata è senza dubbio la Mariglianella, mentre le altre due aggiungono al solo pomodoro ora l'aglio e l'origano, ora le acciughe e le olive.

Invece le papaccelle di Brusciano, unitamente alla salsiccia e a olive e capperi, mi sembrano una proposta intrigante.


Così arriva finalmente la pizza tonda infornata, e subito i miei parametri di degustatore napoletano si attivano a pregustare, il che vuol dire osservare, controllare, esaminare, assaggiare, valutare.

Il cornicione è mediamente pronunciato, forse la cottura - essendo la prima pizza del giorno - poteva sopportare qualche decina di secondi in più, e la dimensione è adeguata.

Nel sollevarla per osservare la colorazione del fondo e il grado di cottura, mi accorgo di un peso specifico considerevole, che sicuramente dipende in parte dalla farcitura, ma che mi pare gravare anche e soprattutto sul bordo che purtroppo risulta pieno e non alveolato.

Il gusto della pizza apre le porte alla verità: ingredienti piacevoli, ma la pasta pizzica.

E quando la pasta pizzica, unitamente al cornicione non gonfiato ma ammassato, vuol dire che sulla lievitazione e la maturazione dell'impasto c'è ancora da fare una buona messa a punto, e soprattutto che nelle prossime ore gli enzimi della farina continueranno a reclamare acqua dal mio organismo, e io rimarrò attaccato al rubinetto.


Ho voluto fare la classica prova del nove, con la Napoli - cioè la marinara - sia per vedere che cosa succede al disco di pasta se sopra non c'è niente di pesante, sia se a forno più avviato l'impasto avrebbe reagito.

Il risultato in termini di peso e di pienezza del bordo non è mutato (niente alveoli, insomma).

Il colore testimonia preziosi secondi di cottura in più, gli ingredienti si confermano all'altezza.

A conti fatti - che con le due birre e l'acqua sfiorano i 40 € - la pizza di Rossopomodoro a Bergamo può sicuramente aprire le porte di un'altra cultura della pizza ai bergamaschi a digiuno di pizza napoletana e magari far scattare la curiosità verso questo mondo, fermo restando quanto detto sullo specifico della pizza.

Del resto, si parla bene anche della cucina di questi ristoranti, che magari tornerò ad assaggiare.

Non posso non lodare comunque l'iniziativa imprenditoriale, e augurare che altri portatori della tradizione si diffondano e si confrontino col mercato, cioè con la gente che va, mangia, paga e giudica, sulla base di ciò che sa, che si aspetta, che desidera e che realmente ottiene.

Rossopomodoro
via Angelo Maj 7
24121 Bergamo
tel. 035 0785528
Sempre aperto

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