sabato 28 marzo 2015
One Restaurant, the stars look down
Chicco Coria, al comando del One Restaurant, negli ultimi anni oltre ad affermarsi come chef si è distinto per la sua apertura alla cucina vegana, che gli è valsa anche il riconoscimento dei seguaci di questa filosofia alimentare.
E proprio lui è tra i principali promotori di TrentacinquEuro, l'iniziativa nella quale i ristoratori della provincia di Bergamo aprono le loro sale con menù creati per l'occasione alla cifra fissa di 35 €, numero distintivo della città orobica, visto che ne è il prefisso telefonico.
Quest'ultima edizione termina proprio ad aprile e, in vista dell'Expo, è all'insegna della valorizzazione delle tipicità bergamasche (ne ho parlato qui).
Se a tutto questo aggiungiamo che di Chicco Coria si parla in giro come de lo stellato non stellato, definizione a doppio taglio, perché quel non è di una ambiguità pesante, ne abbiamo abbastanza per andare a curiosare lì, a ridosso del viadotto autostradale di Dalmine.
La sala ben curata per fortuna cancella del tutto la cornice quasi extra urbana nonché extra brutta.
domenica 22 marzo 2015
Cascina Reina: la fame del gourmet
Ah, che fam che g’ho, me g’ho ‘na fam ca pe’ la desperasiu’ ‘l cervel m'è ‘sciupà de fo’!
G’ho ‘na fam ca me majarès anca le prède e la pòlver de 'l stradù che g’ho ché diànti.
Ma cuzè che me vèt?
öna casìna?
Sènt che frecàs che la ‘rìa de lé, ‘nduè la lüs.
‘n bel calùr, stà atènt che ché se trùa ergòt de bù da mandà zò ‘n del stòmech?
Spèta, che me toca de lès ché ‘l cartèl…
Cascina Reina, te fazo me regìna sa stasira me fa maià e bif de ‘l bù, regìna mia!
Ta 'l dìs che "se maia chel che g'he, se àrda chel che gh'era e se sta pròpe bè"?
Me maia po' te, del dì bù, e sì che a maià se sta pròpe bè!
‘nduè so’ capitàt?
sabato 21 marzo 2015
Cucinare secondo le stagioni: carbonara di carciofi
Sono ancora incredulo, ed è un'incredulità felice.
Io sui grandi piatti di pasta laziali come la gricia, l'amatriciana e la carbonara - ma anche la cacio e pepe - sono piuttosto integralista, di quelli che se non c'è il guanciale hai voglia a tentarmi con le migliori pancette del mondo, e senza pecorino non sto a sprecare il mio tempo anche con un Parmigiano Reggiano di ottantanove mesi e mezzo di stagionatura, piuttosto mi mangio la pasta al burro.
Figurarsi se poi posso immaginare delle varianti con elementi di tutt'altra natura, sostituendo addirittura ingredienti animali con vegetali.
Per esempio, non mi sono mai spinto verso le carbonare marine, dove si vedono gamberetti al posto del guanciale, tanto per dirne una.
Posso immaginare che certi ingredienti di terra non stonerebbero nel blend di base della carbonara, magari dei buoni funghi, ma non so se poi ne vale davvero la pena.
Il mio timore è che togliendo il guanciale alla fine il piatto ne perda in sapore, ed è un rischio che non vorrei mai correre, se devo farmi la pasta.
Eppure la cosiddetta carbonara di carciofi mi ha tentato più volte e stamattina - complice un carciofo quasi alla romana avanzato - ho cominciato a fissarmici su.
Ne faccio una crema, è stato il primo istinto, e mi piaceva l'idea di finirci la cottura della pasta, una pasta lunga e scivolosa, magari delle linguine.
Poi con l'occhio della mente che vaga nel frigorifero versione mnemonica faccio il conto, scorgo il culetto di guanciale che attende la sua degna fine, tengo sotto controllo le due uova a testa in giù, quasi quasi cedo alla tentazione, male che vada il guanciale mi salverà...
E invece, tra un lavoro al computer di qua e una lavatrice da stendere di là, superato il mezzogiorno era ormai troppo tardi per far sudare come si deve il guanciale, cioè almeno tre quarti d'ora sulla fiamma al minimo per estrarne tutto il grasso, perciò mi sono costretto - e il mio inconscio mi ha sapientemente guidato - a provare la vera carbonara di carciofi.
Fatela.
Fate anche quella normale, non smettete, ma fate anche la carbonara di carciofi, adesso, e per tutta la primavera che di questo meraviglioso fiore da mangiare ve ne regalerà quintali.
E fatela così, vegetariana, se così si può dire, abbiate il coraggio di rinunciare al guanciale, o fatevi costringere anche voi dal vostro inconscio che vi farà fare troppo tardi per metterlo su a rosolare, oppure vi farà dimenticare che è finito già da un po', di certo lui, l'inconscio, non mancherà di trovare il modo di mettervi nelle condizioni giuste.
E godetevela, arrendetevi alla sua bontà, sollevando la bandiera bianca del tovagliolo per detergere la pastosità, mentre il cremoso e sapido connubio di carciofo, uovo e pecorino - che sa tanto di primavera, di Lazio, di Pasqua - non lascerà neanche un angolo della vostra bocca privo di piacere.
giovedì 12 marzo 2015
Romanée-Conti al M1.lle: tre passi nel mito
L'imperatore romano Costantino, agli albori del IV secolo, molto prima che i Burgundi vi infondessero il proprio nome, non fece neanche in tempo ad arrivare in quella che oggi chiamiamo Côte d'Or che subito gli fu chiesto un provvedimento speciale per salvarne i malridotti vigneti, ed è molto probabile che l'imperatore abbia acconsentito, visto che da allora, per la Borgogna e soprattutto per quel comune che dal popolo di Costantino prese il nome, è stato un crescendo.
Questa notizia rende giustizia al fatto che oggi dire Romanée-Conti è come pronunciare un sinonimo di mito o leggenda ma con tutta la forza che deriva dall'essere in realtà frutto di verità storica.
Se all'asta le bottiglie di questo glorioso Domaine possono superare i 35-40000 €, già nel XVIII secolo il vino messo a punto intorno al 900 dai monaci di St. Vivant, e che ormai aveva assorbito anche il cognome del proprietario, il principe Conti, pare costasse almeno sei volte più degli altri prodotti nei fazzoletti di terra circostanti.
E da allora, sebbene la storia del Domaine sia stata attraversata da cambi di proprietà e da nuovi assetti delle varie parcelle, ai singoli Crus non è stato cambiato neanche un granello, il che rende ancora più abissale il fascino di questo vino.
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