lunedì 15 dicembre 2014

Gourmet in trasferta: l'Ambasciata, ovvero la legge dell'opulenza


Solo a occhi chiusi è possibile fantasticare di muoversi su morbidi tappeti, nella luce attenuata da tendaggi imponenti, avvolti da profumi caldi e cere che sciolgono, vedendosi riflessi in argenti e cristalli che riverberano tutt'intorno, tra specchi e vetrate, dove anche solo il sedersi diventa uno stare in posa, e una tavolata si trasforma in una galleria sul tema del mangiar bene.

In realtà, si può vivere tutto questo con gli occhi ben spalancati: basta andare a Quistello, dove Francesco e Romano Tamani da oltre trent'anni tengono in vita la loro Ambasciata, emblema di una cucina dal codice genetico mantovano ma dalle movenze internazionali, che ha permesso loro di accumulare trionfi e riconoscimenti di un prestigio raro e prezioso.

15 punti per L'Espresso, 1 stella Michelin, vera gloria per un ristorante che ha attraversato con successo tutta la complessa transizione della ristorazione italiana degli anni ottanta, mostrando come fosse possibile fare quello che oggi si chiama territorio senza rinunciare alla cura e all'eleganza.

Dopo trentasei anni, Romano ai fornelli e Francesco in sala continuano monolitici a preservare e a preservarsi, senza alterare la cifra che li ha contraddistinti, con il coraggio di chi - pur ascoltando l'umore dei tempi - non può cambiare un modo di fare cucina che è diventato negli anni la loro pura identità.

Laddove oggi si inneggia alla leggerezza, all'Ambasciata si ribatte con la legge dell'opulenza; al dogma del rispetto dell'ingrediente naturale, i Tamani replicano con pentole di rame e cotture prolungate e intense per moltiplicare i sapori; a una cucina che oggi cerca di farsi veicolo di concetti oltre che di ingredienti, qui - in mezzo ai tappeti e ai cristalli - prevale un esuberante sovrabbondanza.

A dire il vero, Romano Tamani a fine pranzo ci dice che forse abbiamo esagerato nell'organizzare questa festa pre-natalizia con troppi piatti, ma l'occasione era talmente squisita e la compagnia così apprezzata - con Giancarlo Maffi, Leonardo Ciomei, Fabrizio Scarpato, Albert Sapere, Raffaele Barlotti, Alfredo Leoni, Andrea Pieri, Filippo Felice Di Bartola, Fabio Mazzei, Massimo Neri e Igles Corelli - che non c'era proprio speranza di cavarsela con due portate striminzite.


Del resto, anche le bottiglie portate per l'occorrenza richiedevano adeguato sostegno dai piatti.

Apertura affidata a un fiero Jacquesson 736, figlio di un'annata e di un lavoro d'assemblaggio di rara felicità.

Dalla vendemmia 2008, il vino è affinato in rovere sui lieviti, e poi unito a riserve del biennio precedente più la cuvée già siglata come 735.

Non è un caso se questo superbo prodotto si presenta come Grand Vin de Champagne, rivendicando - semmai ce ne fosse bisogno - la sua piena dignità di vino e non solo di bollicine.

Sicuramente passare alle altre bottiglie è stato doveroso, ma questo champagne è talmente completo che sarebbe stato in grado di reggere tutta la sfilza dei piatti, rivelando ogni volta sfumature risolutive.


Senza esitazioni, e con quel piglio dissacrante, Francesco Tamani circumnaviga il tavolo padella alla mano, per appoggiarci nei piatti questa frittata con cipollotti all'aceto rosa quistellese, che è innanzitutto un ossequio alla tradizione, alla tavola locale, e persino al pranzo domenicale.

I sapori, qui all'Ambasciata, non sono certo da ricercare con la concentrazione della mente o aguzzando i sensi, e anche il secondo inizio lo sottolinea.


La spremuta di pomodoro non fa alcuna fatica a coprire una dadolata eterogenea, tra gamberi, pane, sedano e zenzero, con questi ultimi a tirare verso l'estremo dell'acidità e della freschezza, aumentando la piacevolezza e la vivacità del piatto.

Da sottolineare come questo sia in pratica l'unico piatto dov'è stato possibile sentire sotto i denti un ingrediente vegetale intonso, eccezione rarissima in una cucina di salse-creme-intingoli, dove untuosità e dolcezza hanno quasi sempre la meglio sulle altre sfumature del gusto.

Dal Cilento arriva il Fiano Pietraincatenata Luigi Maffini che ha sicuramente le caratteristiche giuste per dialogare con la portata.

Tra sentori di fiori bianchi e influenze di un affinamento in legno che tuttavia non lascia tracce pervasive, anche nel colore racconta un accenno di concentrazione significativo.

In bocca ha una morbidezza forse insolita, che attenua le caratteristiche più acide, e sembra di averlo colto proprio nel mezzo di una transizione che probabilmente lo porterebbe a un ulteriore complessità gustativa.

Con l'arrivo della Barbera d'Asti si annunciano i primi in preparazione al di là della vetrata che separa sala e cucina.

Carbuné è la Barbera del Monferrato imbottigliata da Franco Roero, e arriva da un territorio privilegiato da condizioni microclimatiche fauste.

Colore, acidità e concentrazione sono caratteristiche nette di questo vino, e gli permettono di evolvere acquistando sì calore ma conservando equilibrio e ricchezza.

Calore per calore, dai fornelli non si fa attendere la risposta.


Il riso vialone nano mantecato con salsiccia e Parmigiano Reggiano di Quistello è il primo dei primi solo come ordine, perché dai dubbi espressi sul grado di cottura del riso Romano Tamani ha dedotto di fare cosa gradita ripreparandolo.

A dire il vero, anche nella seconda edizione, ciò che è apparso non meno importante della cottura è proprio la natura del piatto, che ci ha portati a interrogarci su come classificarlo, visto che anche l'annunciata mantecatura è stata oggetto di opinione, facendo oscillare la portata tra le definizioni di risotto mancato, quasi minestra o semplice riso con...

Per fortuna, il secondo dei primi riaccomoda le cose e senza dubbio diventa il primo non solo tra i pari ma tra tutti gli altri piatti della giornata.



Questa è una vera domenica mantovana, e a renderla tale è il sorbir d'agnoli, che per tradizione è presenza fissa di ricorrenze e occasioni speciali.

Una tazza di brodo con una decina di gioiellini ripieni, ma il caldo e fumante liquido è fatto con cappone e coda di bue, perché la regola della sostanza non la si trasgredisce mai qui.

Se questo vi pare poco, la benedetta usanza nordica di arricchire il brodo con il vino è una goccia che santifica il piatto e lo trasforma in un'esperienza.

Lambrusco del Vicariato di Quistello a far sangue nella tazza, alla fine questo sorbir d'agnoli si distingue per armonia e misura, e difficilmente si cancellerà nel tempo.



È la volta del Melograno Podere Còncori, che si insinua proprio prima del terzo primo piatto, e subito si attesta sulle tonalità già tracciate dai precedenti calori di piatti e vini.

Insolito e piacevole l'attacco erbaceo e balsamico, dopo il quale arrivano tenui amarene e spezie.

In bocca il corpo risponde alle aspettative di un vino ottenuto da piante antiche.

La dolcezza finale è forse la carta più bassa nella mano giocata da questo bicchiere, ma quanto a dolcezza stanno per arrivare due portate che vanno al di là.


Il terzo primo è tanto gustoso quanto ridondante, una sorta di proiezione freudiana di Romano Tamani e della già citata legge vigente in questo regno culinario.

A parte la smisuratezza, il raviolo è di zucca e con la zucca, una certezza matematica in forma di sapori.

Ora, è chiaro che venire nel mantovano e pensare minimamente di sottrarsi a qualcosa con la zucca è da sprovveduti.

Altrettanto lo è scherzare con lo chef sulle modiche quantità, perché lui ci mette un attimo a farne arrivare ancora, in questo surplus zuccherino.

La resa alla dolcezza si fa totale quando si avvicina il carrello con uno dei piatti più rinomati dell'Ambasciata.


L'anatra caramellata con salsa di ciliegie è di quelle capaci di lasciarti in sospeso, tra il soverchiato e l'incredulo.

Qui si mangia, prima ancora di domandarsi che cosa sia l'alta cucina, perciò come minimo di anatra nel piatto ce ne va mezza, con la sua croccantezza ben ammantata di condensato zuccheroso.

Non c'è spazio di discussione, chi viene all'Ambasciata sia consapevole di entrare nel tempio dove una precisa impronta culinaria si è cristallizzata, esattamente come gli estratti delle ciliegie sulle increspature della pelle del volatile.

Se il piatto del giorno, in termini di proporzione, è il sorbir d'agnoli, il piatto-emblema non può che essere l'anatra caramellata, pezzo di storia, vestigia di una personalità, da rispettare e da onorare.

Non c'è alcun dubbio tra i commensali che il Nuits-Saint-Georges Les Damodes di Verdet sia tutt'altra dimensione in fatto di raffinatezza ed eleganza.

Viene istintivo, con questo vino, preservarlo addirittura dalle contaminazioni che il cibo potrebbe procurargli, perché è un bicchiere fatto per parlarti nel silenzio della mente e del gusto, per scrivere sul foglio bianco del palato, e non per accompagnare un qualsivoglia piatto.

Ma qualche domanda sulle possibilità di abbinamento emerge anche quando si prende in considerazione l'Amarone Bertani,

Un vino così significativo, che ha sulle spalle cinquanta e passa anni di sperimentazioni, convolate in una formula eccezionale; un vino caratterizzata da una concentrazione straordinaria, per l'appassimento prima, e il lentissimo maturare in legno che lo trasforma in un prodotto monumentale; un vino, insomma, che ha così tanto da dire anch'esso da solo, e in più dotato di caratteristiche d'intensità così importanti, forse correrebbe addirittura il rischio di sovraccaricare il palato, se bevuto con un piatto di tale forza come l'anatra.

Su queste riflessioni, i fratelli Tamani sono pronti per il gran finale, ovvero la glorificazione della dolcezza e dell'opulenza.

Salame di cioccolato e panettone, perché non è solo domenica nel mantovano, ma è anche a ridosso del Natale.

La dimora elegante si fa casa, le stoviglie preziose ora ospitano uno di quei dolci di risulta che proprio per questo condensano messaggi chiari alla bocca e allo stomaco.

Dessert da fiera, morso goloso, il salame di cioccolato a fine pasto vuol dire non lasciare davvero nulla d'intentato.



Ed è proprio quando la partita sembra finita che arriva il guizzo dei fuoriclasse.

Così, Francesco prima e Romano poi, in un doppio giro di voluttà purissima, fanno il periplo tra i partecipanti, imbracciando un trionfale paiolo in cui ondeggia luminoso lo zabaione.

Quasi sciabordando, dalle cucchiaiate, come una colata la salsa gialla, felpata, dolce - e che te lo dico a fa'? - tappezza salame e panettone, si fa cortina, velluto, tendaggio, drappo di un eccesso della gola, oltre che del compiacimento dello chef, che a ogni cucchiaiata instilla gocce della sua anima.

Non ci sono mezze misure, qui il piacere non è sottile, qui la mente è cortesemente pregata di riposare, qui si celebra il corpo, la percezione persino tattile, propriocettiva del cibo che ti abita, per nutrire i tuoi tessuti, sovraeccitare il tuo sangue, farti sconfinare in una dismisura non viziosa ma ineluttabile, se si vuole avere il coraggio del godimento.

Gloriosa Ambasciata, rappresentazione viva di un essere cucina più che del farla, e tappa insostituibile per capire da dove viene e come cambia la cucina italica degli ultimi trent'anni, tra chi vuole costruire il futuro lavorando sul sentiero della leggerezza e dell'essenzialità, e chi già dal 1978 ha preso la coraggiosa decisione di collocarsi in un senza tempo.

Gloriosi fratelli Tamani, ambasciatori di un regno del gusto, lusinghiero e adescatore quanto irripetibile.

Ristorante Ambasciata
via Martiri di Belfiore 57
46026 Quistello (MN)
tel. 0376 618255
Chiuso Dom sera/Lun

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