sabato 31 maggio 2014

L'irresistibile riso nero


Se il riso bianco fa da stimolo alla creatività in cucina, come uno schermo sul quale proiettare le proprie golose fantasie, al polo opposto il riso nero non è da meno, anzi, pungola la creatività a immaginare macchie di colore che riaccendano il suo attraente buio.

Il riso nero, inoltre, è da sempre associato alla calda stagione, ai prodotti freschi - nel senso di poco cucinati e nel senso di acidi - e a tutti quegli abbinamenti genericamente chiamati insalata.

In realtà, anche il riso nero può dare soddisfazioni inattese se lavorato come un risotto, anche perché difficilmente se ne perde il punto giusto di cottura, dato il suo carattere coriaceo, fermo restando il suo esaltarsi con il pesce, i prodotti dell'orto e tutto ciò che trasmette al palato leggerezza.

Riso fresco d'estate, dunque, ma sempre con grande attenzione alla qualità.

martedì 27 maggio 2014

Pizza e bollicine: Cerea-Salvo, la jam session del gusto


Francesco Salvo si racconta con la disinvoltura e la sincerità dell'artigiano consapevole delle sue capacità e nello stesso tempo attento a tenere i piedi ben piantati per terra.

Con suo fratello Salvatore sono protagonisti, qui alla Cantalupa a Brusaporto, di un'alleanza strepitosa tra la loro pizzeria, Salvo, e il ristorante Da Vittorio: così per una sera assistiamo a una travolgente jam session tra i Cerea, i fratelli stellati, e i Salvo, i fratelli dalla pizza stellare.

Eppure, vista la cornice e il prestigio dell'occasione, ci sarebbe da perdere la testa e ringalluzzirsi, ma dalle parole di Francesco emerge innanzitutto il grandissimo rispetto per la famiglia bergamasca che li ospita, tanto da dichiarare scherzosamente che qui a Brusaporto ce fosse venuto pure a ppere.

E senza dubbio i fratelli Cerea non si sono risparmiati nel trasformare il bordo piscina della Cantalupa in un angolo partenopeo, soprattutto grazie a una sfilza di leccornie e prodotti di prima scelta che facessero da scudieri al piatto principale, la degustazione di sei pizze d'eccellenza, come solo i Salvo sanno garantire.

lunedì 26 maggio 2014

Il posto delle fragole: nel risotto


Che il risotto alle fragole sia un retaggio degli anni Ottanta è una verità sbiadita, come tutto il mito di quegli anni.

In realtà, è forse l'unico piatto serio emerso da quel periodo nel quale un certo lustro sembrava obbligatorio anche a chi non poteva permetterselo.

Risotto alle fragole, dunque, che di per sé non è che una variatio del risotto con spumanti o champagne: al lusso del vino-simbolo di ricercatezza si aggiungeva la stravaganza di un abbinamento con la frutta, in un panorama gastronomico ancora shockato dalle nuove ondate francesi e quindi in cerca di stimoli esterofili (vedi anche le pennette alla vodka).

Ma al di là del mito e del racconto che lo trasfigura, resta un signor piatto, soprattutto se le fragole sanno di qualcosa.

Il resto è scuola e conoscenza: c'è del riso in giro oggi - io ho usato Zaccaria - che non ti consente di sbagliare il risotto neanche se lo fai apposta.

domenica 18 maggio 2014

A caccia di osterie: Pane e vino


Pane e vino, archetipi del nutrimento, frutti del lavoro umano, simboli mistici.

Per un'osteria è già un grosso onere, oggi, definirsi tale.

Se poi si sceglie anche di chiamarsi Pane e vino - sito costruito con Wix che linko giusto per i dati - , come l'osteria di via S. Bernardino a Bergamo, l'impegno si fa ancora più gravoso.

Perché le osterie sono praticamente estinte, non so se lo sai, anche se Slow Food si ostina a farne una guida ogni anno.

Osteria, dunque, non nel senso antico del termine, cioè lo spaccio di vini con eventuale cucina, né luogo d'ospitalità per viandanti, spesso fornito di vettovaglie.

Certo, fino alla metà del secolo scorso le osterie di quel tipo in fondo c'erano ancora, son sopravvissute ben oltre, a dire il vero, anche se i viandanti da rifocillare non ci sono più da tempo.

Nel pensiero comune però il concetto di osteria è rimasto legato al significato di luogo dove si può mangiare cibo semplice, bere vino spesso locale e discreto, a buon mercato.

Questo anche se alcuni dei migliori stellati Michelin si definiscono osteria e tanto a buon mercato non sono.

In questa Babele di ristoranti che si chiamano osterie, e di osterie che si autopromuovono ristoranti, dove si colloca il nostro Pane e vino?

martedì 22 aprile 2014

Gourmet in trasferta: la pizza più discussa d'Italia


Dopo aver assaggiato la pizza più buona d'Italia ho guardato con incredulità alla recente polemica sulla pizza di Princi a Milano, con la consulenza di Franco Pepe.

L'aspra contesa ha visto contrapporsi critici e testate, bloggers e gourmet, napoletani e nordici, disputando su quali debbano essere i criteri per giudicare se una pizza napoletana sia buona o meno.

Ho colto così la prima occasione utile per andare ad assaggiarla, col preciso intento di verificare perché ai miei occhi di napoletano con più di qualche pizza già bella e digerita quelle pizze di Princi/Pepe sembrassero perfettamente canoniche se non addirittura tra le migliori, mentre al palato di alcune voci in vista della stampa e della rete fossero un totale fallimento.

Forse l'apparenza m'inganna, forse mi sento di parte rispetto a chi la critica e non conosce la pizza napoletana, forse mi fido troppo del parere di chi ne ha parlato bene perché li stimo...

Certe posizioni bisogna prenderle di persona e con cognizione di causa, perciò treno Romano-Milano,direzione piazza XXV Aprile, un giretto da Eataly Smeraldo, e poi dritti a tavola.

lunedì 21 aprile 2014

Osteréa dè la Anetì: ol bu ‘l piâs a töć

La cucina bergamasca è una cucina buona, nel senso più ampio del termine.

È buona perché animata dalla necessità: il mangiare semplice, ricorrendo prevalentemente a ingredienti e prodotti in purezza o col minimo di elaborazione, testimonia di una tradizione formatasi all'insegna della sopravvivenza, una sopravvivenza che si fa addirittura arcaica, se pensiamo che le polente sono state tra i primi cibi dell'uomo stanziale e coltivatore.

È buona perché votata alla qualità: il bergamasco è fortemente legato ai prodotti della sua terra, a volte in modo ostinato e chiuso nei confronti delle altre culture e tradizioni, ma perché si fida di chi alleva e lavora i prodotti di origine animale trasformandoli in carni succulente, insaccati e salumi pregevoli e soprattutto formaggi di incredibile varietà e raffinatezza.

Infine, è buona perché orientata alla convivialità: una convivialità amichevole o familiare, che anima tavole attorno alle quali non si fanno tanti complimenti, si parla senza fronzoli, si fanno affari e si regolano rapporti, come se l'atto del mangiare rivelasse ai commensali la caratura di una persona.

Una cucina simile al di fuori delle case era possibile trovarla solo presso un oste, ma è pur vero che l'osteria è senza dubbio la grande scomparsa dalle città italiane, proprio perché oggi le caratteristiche di sopravvivenza, località e convivialità sono sempre più lontane dall'esperienza del mangiare a pagamento, che oscilla schizofrenicamente tra il mangiare frettoloso a bassissimo costo e qualità dei famigerati pranzi di lavoro, alle raffinate avventure gourmet a due zeri fissi che si situano al polo opposto.

Con questo spirito, all'Osteréa dè la Anetì a Bergamo i quater ostèr portano avanti l'importante missione di tenere in vita la loro tradizione, consapevoli che una cultura che non si tramanda è destinata a dissolversi, e loro non hanno alcuna intenzione di assistere passivamente al dissolvimento della storia gastronomica orobica.

In bergamasco si dice che l'è 'l vi che l' fa l'ostaréa, e a Bergamo il vino è Valcalepio, in questo caso Locatelli Caffi, che ha calore a sufficienza per accompagnare piatti che non la mandano a dire.

Il menù, anzi i menù da Anetì permettono di esplorare la tradizione bergamasca, soprattutto delle paste ripiene, la selvaggina e il mondo agricolo, i piatti di assemblaggio di salumi e formaggi, con la polenta sempre pronta a fare da sostegno quando è il caso.

sabato 19 aprile 2014

Una Pasqua speciale: casatiello e pastiera


Sarò controcorrente, forse, ma da un punto di vista gastronomico, preferisco di gran lunga la tradizione pasquale a quella natalizia.

Il Natale, così intrecciato a dinamiche commerciali - una volta si diceva consumistiche - ha visto mescolarsi le tradizioni locali, focalizzarsi soprattutto sulla produzione dolciaria, nazionalizzando i classici dolci da forno e quasi del tutto cancellando o mettendo fortemente in sordina le altre specialità italiane legate alla natività.

La Pasqua invece, ancora libera da forti condizionamenti economici, vede trionfare le specialità regionali, le specificità, i menù tradizionali, e anche chi non ha piatti specifici legati a questa festa, la vive comunque come festa, preparando il piatto principe della propria tradizione.

Forse la tradizione culinaria regionale più forte d'Italia legata alla Pasqua è proprio quella napoletana, e non è affatto strano.

La vocazione rurale e agricola della Campania è roba di millenni, anche se deturpata da un secolo e più, ma le tradizioni per fortuna arrivano sempre da tempi migliori e sono in grado di resistere alle decadenze.

Mettendo da parte la cucina, e quindi la preparazione di paste, carni, verdure, che pure rientrano nei menù tipici di questo periodo e di questa zona, gli emblemi sono senza dubbio il casatiello e la pastiera.

Sorta di pane rustico il primo, dolce contadino sopraffino la seconda, hanno la capacità di raccontare le loro origini, i loro contesti di nascita e sviluppo, e soprattutto le ragioni del loro duraturo successo.