La voglia di cassoeûla in questi giorni è pienamente giustificata, e a La Braseria la cosa non è sfuggita.
Qui in provincia di Bergamo abbiamo fatto un po' tutti gli sbruffoni, cantando di un inverno che proprio non ce la faceva a mostrare la sua faccia vera, più fredda.
Invece, anche se il detto popolare ci vorrebbe fuori dall'inverno con la candelora, è di questi giorni uno di quei sensibili abbassamenti di temperatura che ti fanno desiderare e comprendere le origini dei piatti lombardi.
martedì 3 febbraio 2015
Il vino che conviene: Capitelles des Mourgues 2010
Capitelles des Mourgues 2010 Château Mourgues du Grès
Uva: Syrah, Grenache, Carignan
Invecchiamento: barrique
Alcool: 14,5
Prezzo: 17 € su Top-Wine
Si può definire il vino fondamentale di Mourgues du Grés.
Il capitelle infatti è una piccola struttura in pietra che i primi viticoltori dell'azienda utilizzavano per spogliarsi e vestirsi con gli abiti da lavoro, oltre a ripararvisi in caso di acquazzoni improvvisi.
Con lo stesso tipo di pietra sono costruite le cantine dello Château, per questo il Capitelles ha un ruolo fondante nel panorama di proposte di Mourgues du Grés.
La prevalenza del Syrah garantisce a questo vino un grande equilibrio, mediando tra sensazioni fruttate e vinose (ma ne fanno anche una versione rosé).
Ma gli apporti ben dosati di Grenache e Carignan gli conferiscono le note più erbacee ed animalesche, rendendolo capace di performance diverse a seconda delle occasioni.
Uva: Syrah, Grenache, Carignan
Invecchiamento: barrique
Alcool: 14,5
Prezzo: 17 € su Top-Wine
Si può definire il vino fondamentale di Mourgues du Grés.
Il capitelle infatti è una piccola struttura in pietra che i primi viticoltori dell'azienda utilizzavano per spogliarsi e vestirsi con gli abiti da lavoro, oltre a ripararvisi in caso di acquazzoni improvvisi.
Con lo stesso tipo di pietra sono costruite le cantine dello Château, per questo il Capitelles ha un ruolo fondante nel panorama di proposte di Mourgues du Grés.
La prevalenza del Syrah garantisce a questo vino un grande equilibrio, mediando tra sensazioni fruttate e vinose (ma ne fanno anche una versione rosé).
Ma gli apporti ben dosati di Grenache e Carignan gli conferiscono le note più erbacee ed animalesche, rendendolo capace di performance diverse a seconda delle occasioni.
lunedì 2 febbraio 2015
Cerea-D'amato: four mani are meglio che two
Metti insieme Da Vittorio di Brusaporto e Il Rigoletto di Riggiolo, accosta Chicco Cerea e Giovanni D'Amato, fai una macroregione enogastronomica accorpando Lombardia ed Emilia, e otterrai uno degli eventi di punta del 2015 bergamasco.
Si chiama proprio Cena a 4 mani con Giovanni D'Amato la serata esclusiva che l'8 febbraio prenderà vita nelle sale del Da Vittorio della famiglia Cerea, ospitando lo chef del Rigoletto, Giovanni D'Amato, le cui mani si affiancheranno non solo a quelle di Enrico ma anche a quelle di Bobo, per cui in tutto fanno sei mani, moltiplicando così anche il gusto.
L'iniziativa si lega ad altre simili, nelle quali Giovanni D'Amato ha potuto continuare a esprimere la sua arte, anche grazie alla solidarietà dei colleghi, dopo le terribili conseguenze del sisma del 2012 che ha costretto il ristorante a una chiusura obbligata per restauro.
Attualmente, D'Amato è impegnato nelle nuove avventure del Caffè Arti e Mestieri e del Rigolettino, mentre il destino del ristorante principale appare ancora incerto, ferma restando la volontà dello chef di continuare a regalare emozioni con i suoi piatti.
L'idea e l'organizzazione è firmata da Le Soste, l'associazione di ristoratori impegnata sin dal 1982, sulla spinta iniziale di Gualtiero Marchesi, nella valorizzazione e diffusione della cultura gastronomica italiana nel mondo.
domenica 1 febbraio 2015
Da Bassano, a scoprire i Segni di Langa
Questo, e non solo, accomuna Bassano Vailati, con la sua omonima trattoria di Madignano, e Gian Luca Colombo, promessa più che mantenuta dell'enologia italiana, anzi, piemontese, e fondatore di Segni di Langa, che si incontreranno il 18 febbraio, con l'attenta regia di Alfredo Leoni, per un evento di rara bellezza, Tra Barbera e Pinot Nero.
venerdì 30 gennaio 2015
Una pizza tra Hollywood e Treviglio
Le insidie maggiori a volte stanno nelle cose apparentemente più semplici.
E tra le miriadi di cose che puoi decidere di mettere tra i denti in un qualunque sabato sera non particolarmente degno di nota rispetto agli altri, puoi star sicuro che la scelta di una pizza ti accomuna a migliaia di altre persone a caccia di una soluzione rapida e indolore.
Da qui in poi, è questione di latitudine, e quanto sei sopra l'equatore diventa determinante per la tua soddisfazione dopo aver mangiato questa benedetta pizza.
Qui in provincia di Bergamo il discorso si fa scottante come una margherita appena uscita dal forno a legna a 450 gradi, vuoi perché per fare una margherita accettabile ci vogliono un pomodoro e un latticino sinceri, e soprattutto il forno di cui sopra, che nei paraggi suddetti o latita o non è utilizzato in tutto il suo potenziale.
E non ho parlato dell'impasto, e di tutte le magagne che si porta dietro.
Paste poco idratate, fatte crescere con alto pompaggio di lievito, ma poi non maturate abbastanza, stese col caterpillar, affinché facciano cric-croc come le schiacciatine confezionate in bustine trasparenti, che hanno gli stessi difetti ma almeno non osano costare circa una decina d'euro.
Quadro nero, de gustibus, napoletanitudine eccessiva, non lo so, però so che la pizza mi manca, che m'invento ogni scusa o per farmela a casa o per costringermi ad assaggiare quelle dei dintorni orobici, per nulla esausto dalle delusioni.
Di Hollywood Pyzza Restaurant a Treviglio si parla bene, se sai tradurre il vocabolario indigeno sulla morfologia della pizza.
Quando una pizza ha le caratteristiche di quella partenopea - ossia disco pieghevole, sottile, bordato da cornicione soffice e alveolato - qua la chiamano pizza alta, che sarà improprio come aggettivo, però ormai si è capito che vuol dire tipo quella napoletana, anzi, molto spesso le persone la dicono per esteso: sai, l'Hollywood Pizza la fa alta, come quella napoletana - che poi non è affatto alta, va be' - , e quando napoletano lo sei non puoi frenare la curiosità.
Scopro poi, dai commenti di chi l'ha provata prima, e dalle parole sul loro sito poi, che la pizza viene stesa nella semola di grano duro.
Sospiro, sollevato, perché l'unico motivo valido per una simile procedura è avere un impasto così morbido e pieno d'acqua da necessitare quest'asciugatura d'urto da parte della semola.
Sì, poi lei ti lascia quel velo granuloso sulla superficie della pasta, ma non crediate che lo facciano per darvi la sensazione tattile in bocca.
Fatto sta che l'impasto morbido e idratato è un grande punto a favore.
Sicuramente se hai dei forni elettrici devi essere solo un pazzo se poi non fai un impasto simile, perché con un'idratazione media ti esce la famosa pizza-cracker cui alludevo più su e che ho già stigmatizzato in altri racconti (e di pazzi simili, soprattutto d'asporto, qua siamo pieni).
E poiché all'Hollywood la pizza va nel forno elettrico, la scelta è quanto mai oculata.
Dunque, ce l'hanno messa tutta nell'impastarla e nello stenderla, ma con quali risultati?
E tra le miriadi di cose che puoi decidere di mettere tra i denti in un qualunque sabato sera non particolarmente degno di nota rispetto agli altri, puoi star sicuro che la scelta di una pizza ti accomuna a migliaia di altre persone a caccia di una soluzione rapida e indolore.
Da qui in poi, è questione di latitudine, e quanto sei sopra l'equatore diventa determinante per la tua soddisfazione dopo aver mangiato questa benedetta pizza.
Qui in provincia di Bergamo il discorso si fa scottante come una margherita appena uscita dal forno a legna a 450 gradi, vuoi perché per fare una margherita accettabile ci vogliono un pomodoro e un latticino sinceri, e soprattutto il forno di cui sopra, che nei paraggi suddetti o latita o non è utilizzato in tutto il suo potenziale.
E non ho parlato dell'impasto, e di tutte le magagne che si porta dietro.
Paste poco idratate, fatte crescere con alto pompaggio di lievito, ma poi non maturate abbastanza, stese col caterpillar, affinché facciano cric-croc come le schiacciatine confezionate in bustine trasparenti, che hanno gli stessi difetti ma almeno non osano costare circa una decina d'euro.
Quadro nero, de gustibus, napoletanitudine eccessiva, non lo so, però so che la pizza mi manca, che m'invento ogni scusa o per farmela a casa o per costringermi ad assaggiare quelle dei dintorni orobici, per nulla esausto dalle delusioni.
Di Hollywood Pyzza Restaurant a Treviglio si parla bene, se sai tradurre il vocabolario indigeno sulla morfologia della pizza.
Quando una pizza ha le caratteristiche di quella partenopea - ossia disco pieghevole, sottile, bordato da cornicione soffice e alveolato - qua la chiamano pizza alta, che sarà improprio come aggettivo, però ormai si è capito che vuol dire tipo quella napoletana, anzi, molto spesso le persone la dicono per esteso: sai, l'Hollywood Pizza la fa alta, come quella napoletana - che poi non è affatto alta, va be' - , e quando napoletano lo sei non puoi frenare la curiosità.
Scopro poi, dai commenti di chi l'ha provata prima, e dalle parole sul loro sito poi, che la pizza viene stesa nella semola di grano duro.
Sospiro, sollevato, perché l'unico motivo valido per una simile procedura è avere un impasto così morbido e pieno d'acqua da necessitare quest'asciugatura d'urto da parte della semola.
Sì, poi lei ti lascia quel velo granuloso sulla superficie della pasta, ma non crediate che lo facciano per darvi la sensazione tattile in bocca.
Fatto sta che l'impasto morbido e idratato è un grande punto a favore.
Sicuramente se hai dei forni elettrici devi essere solo un pazzo se poi non fai un impasto simile, perché con un'idratazione media ti esce la famosa pizza-cracker cui alludevo più su e che ho già stigmatizzato in altri racconti (e di pazzi simili, soprattutto d'asporto, qua siamo pieni).
E poiché all'Hollywood la pizza va nel forno elettrico, la scelta è quanto mai oculata.
Dunque, ce l'hanno messa tutta nell'impastarla e nello stenderla, ma con quali risultati?
domenica 18 gennaio 2015
Nuova DOCG per il Chianti di Ruffino al M1.lle
Il ruolo della Toscana nella produzione vitivinicola italiana continua a essere determinante.
Dalla terra che ha dato vita al vino più famoso del mondo arriva una nuova DOCG per il Chianti Riserva Ducale Oro firmato Ruffino, e ha scelto il palcoscenico bergamasco per presentarsi al pubblico.
E così il M1.lle Storie & Sapori si inventa un'altra occasione all'insegna del gusto con la serata toscana, fissata per il vicinissmo martedì 20 gennaio.
Chianti, croce e delizia della storia enologica italiana, uscito da momenti bui, nei quali lo si produceva con stratagemmi poco ortodossi pur di far fronte all'enorme richiesta mondiale, chiave di volta del periodo rivoluzionario e sovversivo dei Super Tuscan, fino al grande ritorno e all'attuale veste di vino che continua a essere espressione del territorio ma che ha imparato a raffinarsi e a competere con uve e vinificazioni dal blasone più vistoso.
E al M1.lle è stato approntato un menù che non si perde in astruserie, ma ricorre al sempre efficace criterio d'abbinamento territoriale, che con vini simili risulta sempre azzeccato.
Dalla terra che ha dato vita al vino più famoso del mondo arriva una nuova DOCG per il Chianti Riserva Ducale Oro firmato Ruffino, e ha scelto il palcoscenico bergamasco per presentarsi al pubblico.
E così il M1.lle Storie & Sapori si inventa un'altra occasione all'insegna del gusto con la serata toscana, fissata per il vicinissmo martedì 20 gennaio.
Chianti, croce e delizia della storia enologica italiana, uscito da momenti bui, nei quali lo si produceva con stratagemmi poco ortodossi pur di far fronte all'enorme richiesta mondiale, chiave di volta del periodo rivoluzionario e sovversivo dei Super Tuscan, fino al grande ritorno e all'attuale veste di vino che continua a essere espressione del territorio ma che ha imparato a raffinarsi e a competere con uve e vinificazioni dal blasone più vistoso.
E al M1.lle è stato approntato un menù che non si perde in astruserie, ma ricorre al sempre efficace criterio d'abbinamento territoriale, che con vini simili risulta sempre azzeccato.
sabato 17 gennaio 2015
TrentacinquEuro, per un'etica del casoncello
Lo avevano promesso e lo hanno fatto.
Ci avevano lasciati dopo un'anteprima pre-natalizia, promettendoci di rifarsi vivi con delle novità, e hanno mantenuto la promessa.
Si sono ripresentati in questo 2015, nell'anno dell'Expo di Milano, con il classico asso nella manica.
E definirlo classico non fa parte solo della frase fatta: TrentacinquEuro - l'iniziativa dei ristoranti della provincia di Bergamo che aprono le loro porte offrendo menù speciali a questa cifra - ricomincia con una presa di posizione nei confronti della cucina e della tradizione locale, proprio in vista di una vetrina così importante come l'esposizione universale.
Ci avevano lasciati dopo un'anteprima pre-natalizia, promettendoci di rifarsi vivi con delle novità, e hanno mantenuto la promessa.
Si sono ripresentati in questo 2015, nell'anno dell'Expo di Milano, con il classico asso nella manica.
E definirlo classico non fa parte solo della frase fatta: TrentacinquEuro - l'iniziativa dei ristoranti della provincia di Bergamo che aprono le loro porte offrendo menù speciali a questa cifra - ricomincia con una presa di posizione nei confronti della cucina e della tradizione locale, proprio in vista di una vetrina così importante come l'esposizione universale.
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