venerdì 23 agosto 2013

Storie sul cibo, tra verità e leggenda

Prendo spunto dalla notizia del giorno in campo gastronomico: il presidente della regione Veneto, Luca Zaia, si è attivato per chiedere il riconoscimento di Specialità Tradizionale Garantita al Tiramisù come prodotto tipico di Treviso.

La notizia naturalmente ha generato reazioni diverse, nel mondo degli appassionati e degli addetti ai lavori, compresa la mia nel commentare su alcuni blog il fatto.

Ma non è dell'iniziativa di Zaia in sé che voglio parlare, bensì dell'affascinante fenomeno delle storie e leggende sul cibo, la cui complessità merita grande attenzione e spesso richiede strumenti filologici e storici di grande spessore.

Come espressione diretta del vivere umano, la storia del cibo, come quella delle persone, va soggetta agli stessi rischi di falsificazione e alla necessità di revisioni attente.

Tuttavia, ritenendo il cibo qualcosa di meno serioso di altre faccende, nella storia dei piatti c'è molto più spazio per il leggendario.

A volte, questo leggendario non risale affatto a secoli addietro, bensì viene costruito ad arte per motivi propagandistici.


Partiamo proprio dal Tiramisù - del quale ho parlato già qui - e dall'affermazione del presidente veneto, secondo il quale i suoi creatori - Ada Campeol e Roberto "Loli" Linguanotto - hanno realizzato il Tiramisù quando Ada Campeol stava allattando il suo primogenito proprio per dare a lei e a tutti una dolce energia.

Insomma, Zaia è cascato in pieno nella rete fascinosa della leggenda, non a caso legata al significato letterale del nome del dolce, ma la storia è troppo bella e perfetta per essere vera, e come questa ce ne sono tante altre che provano a tracciare le origini dei nostri piatti.

Visto che Zaia giustifica la sua iniziativa col fatto di aver promosso e realizzato già il riconoscimento STG per la pizza napoletana, parliamo proprio di quest'ultima.

Nel disciplinare del Ministero delle Politiche Agricole, per spiegarne il carattere tradizionale, si menziona il famoso episodio del 1889, con la regina di Savoia che vede servirsi la famosa pizza con i tre colori della neonata Italia e che da ciò deriverebbe il nome Margherita.

Per fortuna, lo stesso disciplinare spiega che in realtà la pizza Margherita esisteva già da almeno due secoli: quello che non dice, perché difficile da provare in modo certo ma che è molto probabile, è che il nome derivi dalla disposizione delle fette di mozzarella a raggiera, come ben ricostruisce l'amico Angelo Forgione in Made in Naples.

La leggenda della Margherita si inscrive in tutto l'insieme di operazioni propagandistiche necessarie ai Savoia per cementare un'Italia inventata di sana pianta ed espropriare al Sud - oltre ai soldi dei Borbone - le tradizioni di maggior successo.

Sempre da una preparazione partenopea arriva un'altra leggenda, molto pretenziosa nel far risalire le origini addirittura al mondo greco mitologico.

La Pastiera, il tipico dolce pasquale, nascerebbe addirittura ai tempi della sirena Partenope che in primavera emergeva dal mare per salutare i suoi protetti napoletani, e a lei le donne portavano in rituale omaggio i cinque elementi necessari a fare la Pastiera, cioè uova, ricotta, zucchero, grano e aromi come acqua di fiori e cannella.

Ovviamente, storie di questo genere - a differenza di quelle del Tiramisù e della Margherita - non hanno alcuna pretesa di veridicità, e dello stesso genere è la storiella narrata da Matilde Serao in Leggende Napoletane, che fa risalire addirittura al 1220, sotto Federico II di Svevia, l'invenzione del ragù a opera del mago Cicho, al quale la ficcanaso Jovannella ruba la ricetta.

La maggior parte delle storie legate alle origini del cibo riguardano i nomi più che la loro invenzione.

Uno dei casi più eclatanti è quello della parmigiana di melanzane che come preparazione è attestata sin dal XVII secolo nel nostro stivale, anche se il nome viene attribuito ora al vocabolo turco che designa la melanzana, ora all'uso del Parmigiano e ora inteso come alla maniera di Parma (e di questo ho parlato qui).

Potrei citare anche l'insalata russa, inventata da Lucien Olivier nel suo ristorante Hermitage a Mosca, come caso di inequivocabilità del nome.

Altri casi spinosi emergono dal desiderio di trovare l'origine delle origini di una pietanza, in un processo a ritroso nel quale si scopre sempre che quel piatto, o una sua parte considerevole, era stata già inventata in passato, e c'è sempre un passato più passato di un altro.

Lo stesso Tiramisù mostra evidenti parentele con la Charlotte e con la Zuppa Inglese, ma nello stesso Veneto alcuni affermano derivi dallo sbatutin di uovo.

Nomi come tiella e cassoeula rimandano ovviamente al contenitore nel quale questi piatti si preparano (in proposito, la tiella pugliese potrebbe giustamente essere imparentata con la paella valenciana), così come la cassata siciliana fu battezzata così dal nome arabo qas'at, bacinella, sin dal X secolo, mentre risulta meno probabile la derivazione dal caseum latino.

Uno dei casi più complessi e intriganti è quello delle paste comunemente attribuite alla tradizione laziale, a base di guanciale/pancetta/bacon.

Sto parlando di gricia, amatriciana e carbonara.

Innanzitutto, applicando i principi filologici alle sole ricette, sembrerebbe evidente che la gricia faccia da base alle altre due pietanze, laddove l'amatriciana aggiunge il pomodoro e la carbonara l'uovo.

Ma le cose non sono così semplici, o forse lo erano ma sono state complicate dalla ricerca di una storia a tutti i costi.

Così, quasi tutti sanno che amatriciana deriva da Amatrice, paesino in provincia di Rieti.

Vicino Amatrice però c'è Grisciano, una frazione del comune di Accumoli, che avrebbe dato il nome alla versione base, senza pomodoro.

Stabilire quale delle due sia nata prima è ovviamente impossibile e ogni ricostruzione è per il puro piacere di tessere narrazioni.

E veniamo quindi alla terza sorella, la carbonara.

Poiché gli ingredienti della carbonara si conservano abbastanza bene, l'origine più antica e nello stesso tempo più credibile è quella che attribuisce l'invenzione del piatto ai carbonai dell'Appennino che avevano necessità di spostarsi e nello stesso tempo di portare con sé gli ingredienti per nutrirsi.

Questa storia esercita il suo potere per il bisogno di spiegare il nome carbonara, visto che pare certo che con i carbonari del 1830 c'entri ben poco.

Può darsi che il pepe abbondante ricordi il carbone e ciò abbia dato origine alla denominazione.

Di certo, il condimento di uova e formaggio è qualcosa che il Corrado e il Cavalcanti attribuiscono alla gastronomia napoletana, non solo per la pasta ma anche per le verdure.

Ma la leggenda della carbonara - recente e avvincente - è quella dei soldati liberatori americani che, abituati a mangiare uova e bacon e trovandosi per le mani la pasta italiana, le unirono nel capolavoro che tutti conoscono, suggerendo ai cuochi un piatto di grande successo.

A quel punto, carbonara potrebbe essere un nome scherzoso che riecheggia le atmosfere spionistiche dei carbonari associate ai primi americani infiltrati e nascosti per preparare gli sbarchi alleati, ma si tratterebbe comunque di un nome affibbiato a posteriori.

Che la storia dei piatti contenga così tante insidie di fantasia e inventiva, in fondo è un bene.

A differenza della storia di solito considerata con la esse maiuscola, quella del cibo è e deve restare indissolubilmente legata al piacere, anche a quello di essere presi per il naso - anzi, per la gola - da una storia divertente, avvincente e gustosa.

Inclusa quella di Ada Campeol alle prese con le necessità dell'allattamento...

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