Siamo da A'nteprima, a Chiuduno, tra i templi della ristorazione bergamasca, una stella Michelin e sedici punti per l'Espresso, ma soprattutto in uno di quei pochi laboratori della gastronomia in grado di portare avanti in modo serio il connubio tra cucina e sperimentazione.
Chi lo conosce solo per sentito dire, etichetta Daniel come uno dei proseliti di Ferran Adrià, ma la verità è un'altra, anzi doppia: non solo Daniel ha sviluppato la sua ricerca in autonomia e in parallelo a quella del boom della cosiddetta cucina molecolare, ma è anche andato oltre nell'unico modo sensato possibile, ossia sfruttare tecnologia e sapere scientifico per costruire piatti comunque riconoscibili e riconducibili alla tradizione, qualunque cosa questa parola voglia dire.
La carbonara, il filetto, il merluzzo, le olive, tanto per citare alcuni pezzi, sono ciò che i nomi annunciano, ma la tecnica di preparazione si avvale di strumenti e procedure di altissima levatura.
Che poi, durante il percorso di degustazione, Daniel si diverta a sferificare il melone proprio per citare il suo percorso formativo, non guasta, anzi, ravviva l'esperienza.
Grazie al sostegno della famiglia Tallarini, lo chef ha trovato la fiducia e i mezzi necessari per dar vita alla sua cucina e alla sua ricerca.
Una ricerca che spesso lo porta a inventare ben oltre ciò che riesce a offrire in carta, al punto che - mi racconta - si vede costretto a frenare per non sperimentare a dismisura.
Nelle sue parole si scorge una visione lucida del cucinare, fatta di passione e rigore, di estro e competenza chimica, mai fine a sé stessa ma sempre orientata al risultato per il palato.
La cucina è tutta buona, afferma, se c'è professionalità, capacità e tecnica, ma dev'esserci spazio per tutto, per l'amatriciana, che è buonissima, così come per la ricerca.
Per l'iniziativa InGruppo, A'nteprima propone due menù, carne o pesce, ed è doveroso assaggiarli entrambi.
L'accoglienza, a base dei famosi grissini di Parmigiano e di riso selvaggio fritto, si completa con calici di Brut Tallarini metodo classico, tra le sale di sobria eleganza e i monitor che rimandano il lavorìo delle mani dello chef mentre realizza i suoi piatti.
Ma è solo l'inizio: dal ghiaccio secco con fiori, come un sipario che cancella e ripristina la visuale sul tavolo, può cominciare il nostro cammino.
Così, da una parte si può sgranocchiare platano fritto - vedi la tradizione? In Colombia, il platano fritto a rondelle e schiacciato dà vita al classico patacon pisao - guarnendolo di salsa olandese, ma di quegli olandesi che dominavano i mari e i commerci nei secoli passati, data la speziatura marcatamente extraeuropea.
Dall'altra parte, salmone con un'ombra di cottura e costolette di coniglio con mela e pomodoro, piccoli passi nell'universo dei sapori, da far risuonare per contrasto con il dolce-acidulo del succo d'uva che nasconde la sua stessa sferificazione, riproducendo la sensazione della polpa del frutto.
Un aperitivo programmatico, a ben vedere: platano e salsa speziata testimoniano la vocazione internazionalista di Daniel, il coniglio è il marchio della tradizione - nella bergamasca poi è un must - , le sfere d'uva sono retaggio della sua scuola e la quasi-non-cottura del salmone prelude quella delle altre carni trattate con strumenti inimmaginabili, l'ultima frontiera dello chef.
Ed è solo l'aperitivo, che si completa proprio con la sferificazione del prosciutto e melone, giusto per omaggiare la cucina scientifica - senza la quale A'nteprima non sarebbe neanche nato - e far sentire il vero sapore del frutto.
La transizione verso i piatti si realizza sul versante marino con l'insalata di gamberi al Campari: sotto un disco di zucchero cristallizzato al Campari, i grossi gamberi siciliani trovano il loro habitat ideale con un fondo di zucca.
Dal lato contiguo, la sfera di mango al foie gras con spuma di mele è un tripudio di tecnica e accostamenti, ma la sorpresa è davvero oltre: un assaggio di terra cruda che Daniel - seguendo le suggestioni dei suoi anni trentini - tratta purificandola con bolliture e abbattimenti, per poi legarla in un cubetto dal sapore inconfondibile e inimmaginabile (per i malpensanti, questa sorta di distillato di terra è analizzato da un laboratorio prima di essere somministrato ai clienti e risulta sempre purissimo e perfettamente ingeribile).
Mi fa ancora più piacere scoprire come possa nascere una cosa simile (bellissimo il detto popolare da cui nasce la suggestione, l'acqua dopo quattro salti è pura), con un percorso autonomo da quello di chi oggi sembra il paladino della cucina fatta di terra, lombrichi, formiche, licheni - ossia René Redzepi - e che in questo caso non deriva solo dalla ricerca ma dalla tradizione, e nel suo racconto Daniel mi cita anche la resina degli alberi, usata dai ragazzini come cicca improvvisata e dalle mamme e le nonne come dolcificante povero, e probabilmente se me lo racconta è perché ha già in serbo altre creazioni con questo ingrediente unico.
A questo punto, i due percorsi si dividono, indirizzati innanzitutto dai vini: per il menù di pesce farà da musa il Fabula Valcalepio Bianco, mentre per il percorso di carne il nocchiero è il San Giovannino Valcalepio Riserva Rosso, con la benedizione del patron.
A un capo del tavolo, le capesante arrostite con crema di topinambur, carciofi e tartufo nero, in tutta la loro carnale sapidità, sono un saggio di leggerezza e composizione.
Altro capo, altro piatto: le lumache scottate con uova di quaglia, crema di piselli, asparagi bianchi e aria di prezzemolo creano un'orchestrazione equilibrata, tra terroso, legnoso e untuoso, per poi toccare il volatile della nuvola d'aria, come andare dalla terra al cielo, attraversando gli stati della materia.
Con un servizio che giustifica tutti i riconoscimenti avuti dal locale - la prima Michelin è del 2009 - dal monitor si preannunciano i primi.
Gli spaghetti alla chitarra con pomodoro fresco, calamaretti e burrata sonicata - il sonicatore è uno strumento che modifica l'aggregazione delle cellule - sono emblematici rispetto alla posizione della cucina di Daniel Facen: cosa c'è di più tipico del formato-chitarra, di più consueto del sapore del pomodoro fresco? Eppure, questo gusto estratto fino all'ultima molecola si può provare solo se il piatto si avvale della sapienza tecnologica necessaria.
Niente virtuosismi, dunque, perché ogni diavoleria mira solo ed esclusivamente a far godere il commensale.
Per chi avesse ancora dubbi sulla capacità di Daniel nel confrontarsi con la cucina italiana, ecco delle sublimi tagliatelle al tartufo nero con parmigiano di vacche rosse e carbonara d'uovo, dove la cremosità di quest'ultimo ingloberà la pasta solo a discrezione di chi la mangia, mentre le tagliatelle sono amalgamate dal formaggio intensissimo.
Ingredienti di qualità conclamata, ricetta di forte memoria e soluzione tecnica geniale, perciò se a casa, quando fai la carbonara, l'uovo finisce per scaldarsi troppo e farsi a fiocchi, ecco che il piatto fa anche da trucchetto del mestiere...
Superata la sazietà del gusto e dell'anima, come proseguire?
Bisognerebbe andare al di là di ogni barriera...
E infatti...
Arriva il merluzzo d'Alaska con olive Pianogrillo e crema di cicale.
Stiamo parlando del merluzzo con le olive, sempre per la serie sono italiano e me ne vanto, ma con che competenza e che materia prima: il merluzzo viene salato all'origine, dissalato in Spagna e i tranci arrivano pronti per regalare la vera essenza del pesce più buono del mondo, checché ne dicano gli amanti dei branzini e compagnia bella.
Ma questo è niente: il pesce - come il filetto più avanti - è cotto a ultrasuoni, con una temperatura crudelmente vicina a quella vitale e con un'uniformità inarrivabile con gli altri sistemi - praticamente se ne ricava almeno il 40 % del gusto in più, dice con convinzione lo chef - e solo prima di essere impiattato fa un giro di salamandra per acquistare quel velo di tostatura tanto lieve quanto essenziale.
Stesso trattamento per il filetto di vitello con patata alla cenere e agretti, irrorato di riduzione di Valcalepio, con una carne che va oltre qualsiasi concepibile tenerezza.
Così ci avviamo a un finale lungo e persistente, come i buoni sapori, e la carrellata della piccola pasticceria può cominciare.
Cremosità sfaccettate, tra la coppetta di crema e frutta, la combinazione di cioccolato bianco, mela e uvetta che rammenta lo strudel, e il franco krapfen nel miglior stile bombolone.
Praline di mandorle e nocciole e marshmallows che si dissolvono sul palato portano il tempo a rallentarsi.
Biscotti, brownies, cioccolatini e gelatine punteggiano questa passeggiata nelle delizie.
Prima del congedo, con molto piacere ci propongono un giro in cantina, dove c'è spazio per tutti gli abbinamenti possibili, di diversa provenienza, con un prevalere italiano che in fondo non dispiace.
In una stanzetta appartata, a mo' di caveau, i tesori gelosamente custoditi, per aprire le porte al puro lusso.
Così mandiamo un saluto a un Dom Perignon Vintage 1976, e a un Petrus Pomerol 2001, tanto per gradire alla vista, e augurandoci un giorno di poterci sedere a tavola con loro, tanto la fantasia non costa uno stipendio come questi qua.
Uscendo da A'nteprima, ti resta la soddisfazione di aver conosciuto qualcuno che sa come accompagnarti, senza scossoni e durezze, ma senza le mollezze dell'eccessivo virtuosismo.
Questa è la cucina che può portare il nostro paese oltre le sacche della crisi, anche se qualche ben pensante sui blasonati blog di cucina ha criticato l'iniziativa di InGruppo, tacciando questo e gli altri ristoranti stellati della bergamasca di adeguamento verso il basso.
Daniel Facen dà ulteriore prova che alta cucina e tradizione, rispetto per il cliente e sperimentazione, buon gusto e accessibilità possono essere molto più vicini di quanto appaia dal modo di proporsi dei cosiddetti grandi.
Come dice un detto della sua terra, ama l'ert, ma teite al pian...
via fratelli Kennedy 12
24060 Chiuduno (BG)
tel. 035 8361030
Chiuso Dom/Lun
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