domenica 10 marzo 2013
Al Galletto d'Oro 2: memorie di un "modesto" pizzaiolo
Anche se mi chiamano maestro, io mi sento solo un modesto pizzaiolo.
Ancora riecheggiano queste parole che in confidenza Luigi Iorio Esposito ieri mi ha rivelato nel nostro lungo incontro.
Per un pizzaiolo napoletano di vecchia scuola come lui, l'amore e la dedizione verso il lavoro e la qualità della pizza restano l'unica certezza, anche se gli innumerevoli premi ricevuti in tutta la sua carriera vorranno pur dire qualcosa.
Eppure don Luigi è così, si schernisce davanti ai complimenti, i riflettori se può li evita, a lui basta guadagnarsi il rispetto del cliente, il migliore dei premi.
Ma io sento una voce amica, mi dice accogliendomi nel suo locale, riferendosi al nostro accento comune di partenopei.
Sono Al Galletto d'Oro 2 di Martinengo, un anno dopo esserci stato per aprire il mio blog proprio con un post sulla sua pizza magistrale, per rendergli onore, visto che pochi giorni fa l'Accademia della pizza a regola d'arte gli ha assegnato il Cornicione d'oro, solo l'ultimo dei trofei collezionati (qui la notizia).
E proprio quest'anno, 2013, la carriera bergamasca di don Luigi compie venticinque anni, cominciati a Mozzo dove tutt'ora la pizzeria Al Galletto d'Oro prosegue la sua missione nello stesso solco tracciato dal fondatore.
Oggi don Luigi vive un momento difficile, il suo stato di salute in questo periodo non lo aiuta, ma il carattere compensa le ferite dei suoi malanni.
E non c'è malanno che tenga, davanti ai suoi occhi azzurri, specchio di un animo vibrante e nello stesso tempo sensibile, qualità che da sempre trasfonde nelle sue pizze.
Come s'impara a fare la pizza così bene, è una delle domande cardine della nostra chiacchierata, domanda alla quale don Luigi risponde in più tornate, ora col racconto, ora con la descrizione tecnica, ora nel modo che preferisce, cioè facendomi vedere e toccare con mano che cosa vuol dire.
Sin dai suoi primi passi col maestro don Pasqualino a Napoli, don Luigi ha potuto capire che la parola rispetto avrebbe segnato per sempre i suoi sviluppi professionali e personali.
C'è un rispetto innanzitutto per l'impasto, la cui maturazione costituisce la parte forse più difficile ma nello stesso tempo ineludibile.
Ai tempi di don Pasqualino l'impasto lo lasciavamo a maturare in cantina, mi racconta, perché le basse temperature rallentano la proliferazione del lievito.
E a proposito del lievito sottolinea che ce ne va sempre pochissimo, è il tempo a garantire la giusta crescita della pasta, e quando dice tempo intende anche quaranta ore.
Uscita dall'impastatrice, la massa viene messa a riposo in fresco, con un telo umido, e solo il giorno dopo verrà divisa in panetti.
Don Luigi ne taglia un pezzo, me lo dà nelle mani, senti com'è, è fresco, morbido, ma non appiccica.
Più tardi, mentre passeggiamo tra le sale, mi rivela anche che un pizzico di sugna arricchisce la pasta in termini di gusto, elasticità e aroma.
D'estate, col caldo, uso anche lievito madre, prendo un pezzo dell'impasto del giorno prima e lo metto in quello nuovo.
Su una cosa conveniamo abbastanza presto: la grandezza della pizza è la sua semplicità, il suo esser costituita di due o tre cose, e che almeno quelle devono essere governate a regola d'arte.
Non si può impastare e poi fare i panetti dopo qualche ora, la pizza si straccia oppure viene troppo molla. Poi non si digerisce e fa venire tanta sete.
Ma neppure va impastata troppo, aggiunge il fidato genero Pierpaolo che oggi sostiene don Luigi nella sua attività e nella sua battaglia per la salute, altrimenti la pasta s'incorda. Però, l'elemento fondamentale resta la maturazione: la pasta non smette di maturare solo perché la trasformi in pizza. La maturazione che noi facciamo fare all'impasto prima di preparare le pizze, purtroppo in molte pizzerie si completa nello stomaco del cliente, o perché è stato utilizzato troppo lievito o perché non hanno rispettato i tempi.
E ci risiamo col rispetto, che continua anche quando dalla grande massa iniziale si sono formati i panetti.
Dalla celletta, vengono portati fuori per riacquistare l'equilibrio con la temperatura dell'ambiente, ma stando sempre attenti che non crescano in modo anomalo, continua Pierpaolo e intanto smonta le bolle che continuano ad affacciarsi sulle palline d'impasto.
Dal laboratorio ci spostiamo alla zona forno, dove assisto a un simpatico siparietto sui pomodorini, che don Luigi vuole siano messi un po' a cuocere con olio e sale, affinché sulla pizza abbiano sì un sentore crudo ma non siano proprio come appena tagliati, troppo acidi e acquosi.
Il rimbrotto di don Luigi ai collaboratori è nelle sue corde, da burbero benefico, un caratterone che spesso gli è costato critiche anche aspre.
Io ci parlo col forno, mi svela, con un afflato animistico, come se la pasta, i panetti, gli ingredienti, il banco, le pale, la legna e le fiamme fossero tutte creature viventi, e lui il ministro che officia il rito solenne della forgiatura delle pizze.
Ogni gesto e ogni atteggiamento mi dicono che tutti questi piccoli dei che egli onora quotidianamante sono tutto ciò che ha, perché li ha creati e perché ha scelto di dedicarvisi, e si avverte deciso il suo rammarico per le difficoltà che sta vivendo in questo momento con la sua salute malandata, che gli ha reso più faticoso anche solo buttare un occhio nella bocca del forno.
Ma davanti alla fiamma guizza e si anima, per spiegarmi come si gestisce una camera come questa, sui quattrocento gradi.
È la pizza che mi dice a che punto sta il forno. Io la metto a cuocere per esempio in quel punto, dopo un po' la sollevo e capisco che sta cuocendo troppo, allora la sposto là dove è meno caldo, oppure la teniamo sollevata sulla pala per finire la cottura senza bruciarla. A volte io uso una pizza solo per calcolare la temperatura, la metto, magari la brucio, per sentire a che punto sta. Poi con l'esperienza è una cosa che si sente anche solo standogli vicino.
E quando dice standogli vicino non usa solo un'espressione prossemica, vuole proprio intendere uno stare vicino di tipo affettivo, così come quando mi dice che a volte va a controllare l'impasto nella macchina e se anche sta andando tutto bene lui comunque lo tocca, magari fa qualche aggiunta, piccoli gesti che egli sa non essere determinanti ma che gli servono per restare in contatto con la sua creatura, in questa spasmodica attenzione per il prodotto.
Don Luigi e Pierpaolo non temono smentite, per questo mettiamo subito alla prova la pasta e il forno, per scoprire il risultato.
In pochi secondi, la pasta si stende e Pierpaolo appronta una focaccina semplice e sublime nello stesso tempo.
La pasta in forno si gonfia e si colora - in parte, la colorazione tendente allo scuro è dovuta alle farine, con una buona dose di farina macinata a pietra - ed è pronta per la prova finale.
Il cornicione gonfio è inconfondibile, questo è senz'altro un tempio della vera pizza napoletana, ma ecco che il dito di Pierpaolo lo schiaccia per mostrarmi come esso risalga su da solo, come una creatura viva che risponde.
L'aria accumulata nella maturazione produce la giusta alveolatura, per questo il cornicione è così alto e soffice e gioca a riformarsi anche se lo ammacchi un po': esperimento riuscitissimo e focaccina molto golosa.
Don Luigi pensa sempre alla pizza anche quando non lavora, per esempio nella sua passione per le stelle e l'osservazione del cielo.
Guardare in alto, immaginare spazi sconfinati da esplorare, l'universo pizza diventa un mondo di cui farsi pioniere, tutti sentimenti espressi dal suo racconto e da questo quadro nel quale la pizza si fa cometa e la fantasia diventa vena creativa, e chi dice che sia kitsch non capirà mai che la bontà della pizza di don Luigi è inscindibile dal suo estro e non si possono separare.
Giriamo per il locale e ci soffermiamo nella saletta napoletana, perché almeno questo se lo riconosce: con la sua buona pizza sicuramente contribuisce a dare un'immagine diversa della città anche agli avventori bergamaschi, e mi esprime il suo dispiacere per quanto avvenuto in questi giorni a Napoli dopo l'incendio di Città della Scienza.
Seduti al tavolo, don Luigi menù alla mano mi racconta la lunga cavalcata della sua carriera, punteggiata dalle pizze che ha inventato.
Già dal 1966, dalle esperienze siciliane, e poi continuando col suo insediamento bergamasco, ogni evento, ogni scoperta, e ogni passione personale sono stati occasione creativa per sfornare pizze nuove nel gusto e garantite nella qualità.
Con divertimento mi racconta che la pizza che oggi si chiama Martinengo in realtà nacque quando lavorava a Siracusa con nome di pizza Maradona, ma le proteste dei siciliani di fede juventina lo costrinsero non solo a cambiargli il nome ma a inventare subito la pizza Platini.
Le sue origini lo hanno portato a omaggiare con le sue creazioni ora Totò, ora Sofia Loren e ora Massimo Troisi, i cui nomi compaiono nell'elenco delle pizze.
Alcune delle sue invenzioni lo hanno portato ai massimi vertici col conferimento di premi prestigiosi, e su tutte senz'altro spicca la pizza Bergamasca, con polenta, funghi, cotechino e taleggio, gli ingredienti tipici di questa zona che egli ha saputo aggraziare in una pizza premiata già nel 1992 nel concorso Europeo, poi nel 1998 in Sardegna e infine nel 2010 a Chianciano.
Don Luigi, gli chiedo, ma voi che siete napoletano la polenta la mangiate?
Come no, mi piace la polenta, la faccio spesso e me la chiedono anche d'estate quando non sarebbe proprio adatta, e poi mi spiega come la amalgama per metterla nella sua pizza vincente.
Su una cosa non transige: non si fanno modifiche alle sue pizze.
A volte è solo per questioni di abbinamento, io scelgo i gusti in modo che l'equilibrio della pizza sia salvo. Se un cliente mi chiede per esempio di aggiungere anche solo l'olio su una pizza dove ci sono le melanzane fritte io mi rifiuto di darglielo, mi spiega, e qui io gli ricordo che una cosa del genere era successa proprio a me in una delle mie prime venute nel suo locale, e ne ridiamo alla grande.
Alle volte questo mio modo di fare mi costa critiche, però io ci tengo a che la mia pizza resti gustosa e digeribile, per questo non mi piace vederla modificata, anche se capisco che il cliente a volte se ne può risentire perché è lui che paga. Ma io la penso così.
Spiccano poi, tra le sue creazioni, i due omaggi a Donizetti, con l'Elisir d'amore e la Lucia di Lammermoor, grazie ai quali ha ricevuto grandi apprezzamenti dalle autorità bergamasche.
E proprio la Lucia di Lammermoor è quella che adesso la squadra prepara, con la crema di funghi, i formaggi e i pomodorini.
Sulla bocca del forno Pierpaolo ne completa la cottura e don Luigi mi osserva attentamente mentre mi accingo a mangiarla.
Vuole sapere se quello che mi ha raccontato corrisponde a quello che sto gustando, io lo rassicuro che la sua pizza la conosco bene e che non mi deve dimostrare nulla, ma anche quando si sta raffreddando - sicuro del fatto suo - mi chiede com'è.
E ha ragione, perché anche quando ha smesso di fumare, la struttura della pasta non si altera, nessuna traccia di gommosità, cornicione che ancora crocchia e fondo della pasta morbido ma non molle.
Con soddisfazione sua e di suo genero, sia io che gli altri clienti puliamo i piatti, qualcuno porta via pizza d'asporto della quale si dichiara dipendente e non sono pochi quelli che chiedono il bis, scherziamo anche con una cliente che chiede del sale, facendole notare che don Luigi non ama le modifiche alle sue pizze ma che per questa volta ci passerà sopra.
Sono contento di essere venuto a trovare questo modesto pizzaiolo, come si definisce lui, di aver scoperto ciò di cui ero sicuro, che dietro l'aria scontrosa c'è un uomo che ha dato tutto ciò che aveva al suo lavoro, che è rimasto fedele a una tradizione e che soprattutto è riuscito a trasmettere a chi gli sta intorno e a Pierpaolo in primis la sua maestria.
La promessa di tornare a trovarlo non è solo prammatica, credo anche di aver ricambiato la sua accoglienza familiare con la mia attenzione e ora i suoi occhi commoventi mi ringraziano così come mi hanno salutato all'inizio, senza mai smettere di vibrare.
Grazie, don Luigi, grazie per avermi concesso di festeggiare un anno di blog nel luogo dal quale ho cominciato.
Grazie a nome dei napoletani in terra bergamasca che sanno di avere un'isola di felicità nel tuo locale.
Grazie a nome dei cultori della pizza per averla sempre difesa e tenuta in alto con tutte le tue forze.
Grazie a nome di chi sa apprezzare il lavoro di quelli che come te si prendono cura del cibo, di queste meraviglie che entrano nel nostro corpo e che diventano noi stessi, che hanno bisogno di mani sapienti e di occhi attenti come i tuoi.
A presto...
Galletto d'oro 2
via Trieste 33
24057 Martinengo (BG)
0363 988617
Chiuso Lun
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