lunedì 6 agosto 2018

A Sarnico, un desiderio chiamato Tram

In una sua famosa e riuscita greguerìa, Ramòn Gòmez de la Serna afferma che il tram approfitta delle curve per piangere.

L'immagine è potente, e personifica nel mezzo di trasporto vecchio per antonomasia movenze e atteggiamenti del cuore immalinconito e calante.

Non nascondo che il valore evocativo del tram, del termine stesso, ha un effetto trascinante per me, e mi riporta a quando nella via di casa ancora pendevano i vecchi fili che permettevano al cavallo sulle rotaie di fare tragitti lunghissimi e che oggi riterrei impossibili da compiere.

Questa associazione immediata tra il tram e il passato, cristallizzato e museale, indubbiamente condiziona la mia capacità di immaginare un tram contemporaneo, che non strida con il mondo attuale, e che quindi non pianga curvando.

Anche da Bergamo il tram partiva e arrivato a Trescore - me lo immagino ansante e sbuffante - proseguiva per l'ultimo straziante sforzo fino a Sarnico, dove la stazione di capolinea lo accoglieva a riposo, prima di rifare a ritroso tutta la strada per il capoluogo orobico.

Nel 1951 la stazione fu dotata di un punto di ristoro le cui redini passarono nelle mani della famiglia Plebani, la stessa che dopo circa vent'anni fondò l'azienda vitivinicola Il Calepino, proprio sulla stessa salita che il tram guadagnava per risalire dal Sebino e ritornare nella bergamasca.

Nacque così il ristorante Al Tram, che ancora oggi domina il lungo lago di Sarnico, dopo sessantasette anni cominciati quando già il tram - quello per trasportare - sembrava destinato a tramontare, e la modernità si faceva largo a tutto spiano.

Ai sessantasette anni di cucina vanno affiancati ovviamente i quarantasei di vinificazione de Il Calepino, e le due realtà ancora oggi resistono a ridosso del Sebino, in un mondo che ormai modifica i binari prima ancora di finire di tracciarli.

Il locale stesso - che è già stato riconosciuto come storico dalla regione quasi dieci anni fa - è in ristrutturazione, e dal cantiere si capisce che si tratta di un restauro impegnativo nel quale la famiglia Plebani ha profuso grandi energie, affinché il ristorante possa continuare a recitare un ruolo trainante - è il caso di dirlo - pur conservando la memoria di sé stesso, senza limitarsi a vivacchiarci sopra.

Una sfida non facile, perché vi è in gioco l'identità stessa del Tram di fronte al bivio che da una parte conduce a un'obsolescenza inadeguata ai tempi e dall'altra a una decisa marcia verso un domani vincente.

Nel frattempo, con un agosto 2018 partito con grande cattiveria, la sponda di Sarnico risulta afosa e umida, mentre quella ventilata di Paratico di fronte sembra quasi farle marameo per dispetto.


Per questo, la suggestione della veranda del ristorante rispetto alle sale interne purtroppo paga la realtà dei fatti: tra le vetrate che separano dall'esterno e i teli in alto, il microclima ai tavoli del dehors ci fa sentire quasi in una di quelle curve di cui parla de la Serna.

Viene naturale sedersi ai tavoli del Tram e farsi portare uno dei vini de Il Calepino, giocare in casa sembra dare più garanzie, in fondo la scelta è il primo passo per costruire una serata nel rispetto della tipicità e del territorio, quindi ben vengano i vini delle vigne a un tiro di schioppo dal ristorante.

In carta, l'intera gamma degli spumanti, nonché dei rossi e dei bianchi dell'azienda di casa, dalla quale scegliamo il Surie, Chardonnay e Pinot grigio affinati sia in acciaio che in barrique, affinché la tecnica porti a compimento le qualità naturali dell'uva di partenza.

Certamente una scelta diversa sul vino necessiterebbe di un ventaglio di alternative più ampio, laddove invece in carta le etichette dell'azienda di casa tendono a prevalere.

L'opzione è comunque calibrata anche sui piatti scelti, fatta eccezione per il tempo di servizio, successivo all'arrivo delle prime portate.


Il coregone di lago dorato in carpione con polenta bramata è vera espressione del territorio, e per chi sceglie di mangiare in riva al lago è il modo migliore per comprendere le peculiarità dell'ambiente.

Non c'è infatti pesce d'acqua dolce che gli abitanti delle coste del Sebino non abbiano imparato a far fruttare in termini di gusto e di economia: la preparazione in carpione - eseguita con equilibrio e senza eccessi acidi - non solo conferisce sensazioni gustative accattivanti, ma conserva e migliora la portata con il passare del tempo.

La cucchiaiata di polenta è un tocco di vera naturalezza, in questo punto particolarissimo della provincia di Bergamo, dove l'anima rocciosa e quella acquatica si fondono senza soluzione di continuità.


Con l'intento di onorare l'appartenenza territoriale, anche qui al Tram propongono come primo piatto principale i tipicissimi casoncelli "tradizionali" alla bergamasca, ben consapevoli di servire anche un pubblico di turisti che, pur avendo voglia di assaggiare il piatto più importante della provincia, non se la sentono di raggiungere la città o meglio ancora le parti alte delle valli, dove i casoncelli vengono eseguiti in maniera magistrale.

Qui il risultato, pur dignitoso, presenta però delle differenze che da un punto di vista filologico non sono inezie: la forma è quella di una sorta di mezza luna con un diametro superiore a quello canonico, e soprattutto non è stato effettuato lo schiacciamento dalla parte della chiusura della pasta; personalmente, poi, trovo interessante che dal ripieno emergano in maniera preponderante le note dolciastre della frutta fresca e secca e degli amaretti, che in questo caso però non ho avvertito in modo particolarmente intenso.


Idea più semplice, e sicuramente vincente, il risotto al Metodo Classico Il Calepino Brut, il piatto che consolida il reciproco rafforzamento tra il Tram e Il Calepino.

La cottura del riso è corretta, e l'incontro tra gli amidi e l'acidità del vino si tramuta in un piatto fresco al palato, forse non amalgamato come un risotto invernale - che un po' di formaggio a tavola avrebbe potuto bilanciare meglio - ma piacevole e soprattutto felicemente intonato a una serata afosa difficile da sopportare.


In riva al lago d'Iseo, l'immaginario del cliente che siede al ristorante proietta immediatamente il suo desiderio di pesce di lago.

La carta, oltre al coregone dell'antipasto, però pende con una certa insistenza sulle creature del mare - avvisando poi giustamente che potrebbe anche trattarsi di pesce refrigerato - e gioca le sue carte d'acqua dolce con il salmerino alla griglia e la trota in crosta di mandorle con zucchine.

In entrambi i casi, le carni rosate sono protagoniste assolute, che i contorni si limitano a esaltare e non coprire, donando una diffusa sensazione di delicatezza, dal gusto lieve e pulito.

Non c'è dubbio che il pesce di lago vada soggetto alle oscillazioni giornaliere del pescato anche più di quello del mare, e che le carni più delicate implichino una shelf life più breve e quindi maggiori difficoltà di pianificazione, ma far entrare in carta almeno i tipici missoltini o una bella tinca renderebbe sicuramente più forte il legame dell'offerta del ristorante con il suo stesso territorio.


C'è spazio anche per un'ottima tagliata di manzo, cotta alla perfezione, che tra il tenero e il sapido mostra il suo valore tra i secondi della lista, mentre la presenza del piatto nel menù definito tradizionale ha un effetto lievemente straniante.

In generale, dalla carta e dai menù degustazione emerge questa leggera distopia, laddove al posto di una scelta radicale di prodotti del lago si spinge maggiormente su pesci, crostacei e molluschi marini, o su proposte di terra senza una precisa identità, e questo a mio parere è un punto sul quale oggi non si possono avere tentennamenti, magari dettati dal desiderio di non scontentare nessuno, bensì bisogna scegliersi il proprio pubblico proponendo qualcosa di preciso che ovviamente non piacerà a chiunque.


I dessert sono canonici, e non scontentano chi ha voglia di deliziare ancora un po' il palato.

Oltre a mousse, tarte tatin e altre leccornie, ingolosisce il tiramisù con gelato al caffè, mentre le pesche macerate zittiscono il clima proibitivo con la loro sacrosanta freschezza.

Si esce in un'afa che ingoia, e con la sensazione di essere capitati al Tram in una fase di transizione, esattamente come il restauro in corso che apporterà cambiamenti tutti da scoprire, con delle scelte che in parte potranno essere oggetto di nuove riflessioni, affinché la nuova identità prenda una forma definita, che sappia essere una scelta di campo, dove ogni proposta in carta proponga un'idea precisa di cucina, con il vino dell'azienda di famiglia che faccia da ospite generoso a molte più etichette alternative, con un servizio che non risenta dello stress dovuto al troppo caldo, e in cui il desiderio di uscire dal Tram sentendo di aver fatto un'esperienza gustativa unica si realizzi a pieno e non resti solo un nome, e il locale storico per la sua età continui a esserlo soprattutto per la sua capacità di scrivere nuove storie nella memoria dei suoi visitatori.

Ristorante Al Tram
via Roma 1
24067 Sarnico (BG)
tel. 035 910117
Chiuso mercoledì sera in inverno/aperto sempre in estate

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