Se è come dice Mogol con la voce di Battisti, che il ricordo, come sai, non consola, allora il mio
rispettoso ricordo di Luigi Iorio Esposito e delle sue pizze rischia di fare la
fine dello scoglio che non può arginare il mare.
Molto meglio, dunque, andare direttamente là dove quelle pizze continuano a
essere sfornate, per vedere se l’eco della passione e della bravura di don
Luigi ancora si sente.
Al Galletto d'Oro, pizzeria storica qui nella bergamasca, perché tra le
prime e più importanti a offrire una pizza che si potesse dire napoletana, ha
avuto in questi quasi trent’anni una storia non sempre a regola d’arte come le
pizze che invece ha saputo far gustare agli avventori.
La sede storica di Mozzo con le sue vicissitudini che tanti pensieri davano
a don Luigi, poi lo sdoppiamento a Martinengo, che ha visto anni di grande
spolvero e successo, con il locale pieno all’inverosimile e ben due forni –
legna e gas – per sostenere numeri impressionanti, e poi quel 2013 fatidico,
quando la salute di don Luigi ha segnato il passo, e per chi resta dopo i
grandi, si sa, è difficile non farli rimpiangere.
Ma la storia va avanti nonostante tutto e tutti, e quando ho saputo di
questa rinascita a Montello ho immediatamente pensato a quegli occhi chiari e
luminosi con cui don Luigi mi raccontava di come prendersi cura dell’impasto
come se fosse un figlio e del forno come se fosse una casa.
E se solo una minima parte della serietà di quest’uomo sopravvive nelle
pizzerie che a lui devono la vita, allora oltre ad averci deliziato in vita,
può continuare a farlo anche da più lontano.
Amore e dedizione per il lavoro e per la qualità dell’offerta sono state l’unico
motore che ha permesso a questa storia, la storia di una pizzeria e di un uomo
che ha creduto con tutte le sue forze nella sua visione, di cavalcare i tempi e
rinnovarsi anche oggi che don Luigi purtroppo non c’è più.
Le sue tracce sembrano incancellabili, dai quadri sui muri alle pizze in lista, quelle premiate e
quelle appassionate, quelle dedicate alla terra che lo ha accolto, come la
bergamasca con la polenta, a quelle che cantano la sua nostalgia per Napoli, come
la Troisi, fino a quelle che rivelano la sua passione per la lirica, come la
Lucia di Lammermoor.
Ma il ricordo me lo gioco sul classico, perché non è la fantasia
compositiva di don Luigi che voglio ricordare - quella l’ho già conosciuta - bensì la persistenza di quell’arte bianca che solo le pizze tradizionali permettono
di verificare.
Quando la margherita arriva nel piatto a raccontarsi da sola, chi ha
conosciuto don Luigi si rende conto che anche da lassù, da quel firmamento che
amava osservare e dipingere con quella bella freschezza di un cuore bambino, la
sua influenza non si è esaurita, la sua lezione non è dispersa, e questa storia
da semplice storia di una pizzeria in provincia di Bergamo diventa la storia di
un artigianato che va oltre l’artigiano, cioè la storia di una tradizione.
Così, col triangolino piegato – perché a Napoli la pizza si mangia così – e pronto a deliziarmi so che il maestro e margherita sono ancora insieme, anche se lui preferiva definirsi un modesto pizzaiolo.
Al Galletto d'Oro
via dell'Assunzione 2
24060 Montello (BG)
tel. 035 0144291/3294320731
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