giovedì 2 ottobre 2014

Al b3, il genio e la raffinatezza di Daniele Cumini


Da qualche mese, a Bergamo, b3 non è più soltanto la sigla di una delle cucine di punta Bulthaup.

B3, nello splendido cortile dello showroom Ghirardelli, è la creatura di Daniele Cumini, geniale chef che dall'agriturismo di famiglia in Val Seriana è approdato in centro a Bergamo per lasciare il segno.

Del resto, tra la cucina b3, rigorosa, pulita, fatta di linee nette, con materiali di estrema qualità assemblati però con sapienza artigianale, e chi ci deve lavorare bisogna si sviluppi il giusto dialogo.

E Daniele in quel gioiello ha trovato il suo laboratorio per una cucina precisa, tagliente, con ingredienti che urlano freschezza e la capacità di distinguere quando trasformarli usando le diavolerie Bulthaup e quando invece limitarsi ad accostarli perché si esprimano per ciò che sono.

Il concetto poi è unico a Bergamo: sala che si distende lungo la vetrata che dà sull'opera di Arnaldo Pomodoro, quattro tavoli affiancati dall'apertura sulla cucina in diretta di Daniele che crea e conversa, taglia e argomenta, impiatta e ascolta per poi servire e presentare.

Per questo, oltre al business lunch e alle tapas di aperitivo, a cena in questa sorta di casa di Daniele ci si va solo su prenotazione e con almeno un giorno d'anticipo, per dargli il tempo di pensare il menù adatto alla serata.

Ho evidenziato il pensare perché di pensiero, di meditazioni, di ipotesi su come potrebbe funzionare un abbinamento, di tentativi e sperimentazioni, dietro i piatti di Daniele Cumini ce ne sono tanti, ed emergono chiari nella bocca e nella mente di chi li assaggia, permettendo di capire il progetto del giovane chef, non solo di apprezzarne bravura e competenza.

Simili qualità nei piatti vanno bilanciate con altrettanta eccellenza nel vino, e chi meglio di Alfredo Leoni di Top-Wine può scegliere le bottiglie perfette da stappare in questa raffinata cornice?

Per Top-Wine si avvicina il decennale, un lasso di tempo speso - bene! - non solo a ritagliarsi un ruolo esclusivo nella distribuzione delle etichette più esclusive tra Borgogna, Bordeaux, Champagne e Toscana, ma anche nel costruire importanti collezioni che valorizzano soprattutto il patrimonio vitivinicolo italiano.

Partiamo perciò con la garanzia di uno champagne Egly Ouriet Les Vigne de Vrigny, premier cru dal 2003, che non lascia dubbi sulla competenza di Alfredo Leoni, le cui intuizioni si riveleranno giuste, di pari passo con i piatti.



Quando arriva il polpo in frutta si apprezza subito il rispetto di Daniele Cumini nell'attenersi al valore intrinseco degli ingredienti, senza forzarli.

I tentacoli rivelano una sorprendente duttilità legandosi ai frutti in un ideale percorso dall'estate all'inverno che passa attraverso acidità e intensità zuccherina, che l'amaro del radicchio dovrebbe contribuire a bilanciare.

La natura di piatto concepito e ragionato emerge chiara, non c'è impulsività ma consapevolezza della ricerca dell'effetto, anche se forse in una presentazione leggermente venata di ansia.


L'Egly Ouriet fa il fedifrago e se la intende anche con questa cappasanta in pancetta con polenta bianca, a portare avanti il discorso sulle entrate.

La croccantezza della pancetta protegge una cappasanta morbida la cui consistenza è riecheggiata dalla raffinata polenta, in un piatto che sicuramente Daniele potrà testare osando ancora.


Sul terzo passo si cambia marcia, e alla buona mano si aggiunge una coraggiosa felicità.

Lo speck del Monte Cura è fatto dal fratello di Daniele nell'agriturismo di famiglia, perciò si tratta di un prodotto di controllata freschezza e qualità, a chilometro estremamente ridotto.

Ma il bello sta nell'abbinamento - nato per casuali prove ed errori, come racconta lo stesso chef - perché se l'accoppiata con la mela richiama una concezione altoatesina o austriaca, l'aggiunta della bottarga di muggine ha l'effetto spiazzante di una ventata di iodio sul palato dopo aver deglutito, ed è un effetto che ribalta le aspettative, capovolge le prospettive, e si presenta con una bontà che è anche bellezza, sottratta da ogni inutile elaborazione e aggiunta.

Qui il genio di Daniele fa pesantemente capolino, e genera aspettative intriganti sulle prossime portate.

La voglia di sperimentare di Alfredo Leoni si fa ardita, e tira fuori un Monte di Grazia 2007, un vino che sa di storia, ricavato da un attento lavoro di salvaguardia di uve autoctone e vigneti centenari, il tutto in biologico e con l'intensità del Sud.

Che cosa funzionerà meglio col prossimo piatto, si chiede, mettendo la bottiglia appena aperta in competizione con un Riesling della Mosella Reiler Goldlay Auslese 2011, mentre Daniele è quasi pronto a dire la sua con la successiva portata.



Nella faretra di uno chef lombardo non può e non deve mancare la freccia del risotto, qui giocato con aceto balsamico e caffè, il dolce e l'amaro che s'incontrano tra balsamicità e aromaticità.

Sicuramente il risotto risentirebbe delle sorsate cariche del Monte di Grazia, e si lega in modo interessante con il Riesling, se non addirittura - facendo un passo indietro - con lo champagne.

Sulla carta, è un piatto che ti aspetti più spinto, ma l'idea è valida e di certo Daniele troverà la calibrazione adatta, non solo e non tanto nell'intensità dei sapori, ma anche nella posizione all'interno del menù.


Lo chef non si scompone nel partecipare alla chiacchierata, al di là della parete aperta oltre la quale assembla le sue bontà, e mentre interloquiamo tira queste tagliatelle che intitola alla "carbonara" tra virgolette, con lo stesso piglio geniale già intuito e intravisto finora.

Con il guizzo dell'artista dadaista, nella sua "carbonara" al posto dell'uovo di gallina c'è quello di muggine, quindi bottarga sapida, appena sciolta in acqua e olio, e sentori di limone che alleggeriscono il piatto fino a farlo levitare, senza togliere la soddisfazione della pancetta da sgranocchiare, e il capitolo primi si chiude in crescendo.

È a questo punto che Alfredo Leoni piazza un colpo di pura maestria, che forse avrebbe detto la sua già a partire dal risotto.


Sto parlando di un Sodaccio di Montevertine 1985, più che un vino un'opera memorabile, conservatosi indenne, perfezionato nell'autorevolezza, e sviluppato in sentori balsamici.

Lo bevi e ti trasmette una carica sferzante, il meglio per incontrare le diavolerie carnali che Daniele sta per portarci.


Lo scamone di piemontese è cotto a bassa temperatura, non per vezzo o per tendenza, ma per esaltare di quel minimo possibile le caratteristiche di una grande materia.

A vestire la carne, una restrizione agrodolce per confermare le doti chimiche, o addirittura alchemiche, dello chef, capace di creare un vero e proprio filtro magico per come valorizza lo scamone e soprattutto per l'equilibrio calcolatissimo, senza la minima sbavatura, pur sapendo che nella restrizione c'è salsa di soia, difficilissima da governare senza che sgomiti prendendosi tutto lo spazio.

Un condimento per consonanza, da premiare per come potenzia e onora l'ingrediente base, creando un ponte verso quell'umami sul quale tutti gli elementi convergono.


A seguire, un condensato di riferimenti al Piemonte, tra la tagliata, la salsa al prezzemolo e le nocciole, un lavoro sulle consistenze agito senza alterare la sensorialità basilare degli ingredienti.

Su questa coppia di portate il Sodaccio non smette di stupire, rivelando che cosa può accadere in una bottiglia ben tenuta per trent'anni, e anche lo chef non si perde l'occasione di alzare il calice che fa quasi dispiacere mettere da parte, per lasciare spazio a qualcosa di più consono al dessert.

Arancia dorata, il Sauternes Clos Labère Domaines Baron De Rotschild 1995 trasuda passione e regala giusta densità per un finale dolce che si proclama pastoso.

La panna cotta è in doppia versione, zafferano e vaniglia.

Dessert che si impone al senso del gusto e del tatto, anche per una studiatissima consistenza che coniuga il giusto tremolìo con la necessaria tenuta.

Il sapore limpido si fa caldo nella versione con lo zafferano, ma non si può non riconoscere altrettanta autenticità a quella con vaniglia, curiosamente rinfrescante.

La sorpresa finale è a base di meringhe al caffè, che Fiorangela, moglie di Alfredo Leoni, cesella magistralmente con le sue mani.

Ancora parole, aneddoti, curiosità, quando ci spostiamo nella bellezza della cucina b3 con poca voglia di salutarci e l'entusiasmo di figurare un futuro meritevole per il ristorante e per Daniele Cumini.

La memoria ritorna alla disciplina degli ingredienti, alla tecnica mai fine a sé stessa, alle intuizioni - soprattutto quelle sulla bottarga - come alle proporzioni - vedi la restrizione agrodolce - in una coerenza pulita che coincide con quella architettonica, dove l'ordine e la precisione sono gli stessi che Daniele adotta nella sua cucina meditata che ha enormi margini di evoluzione - per esempio, aprendo una porta decisa al mondo vegetale, ricco di ingredienti buoni di per sé e che per adesso non hanno trovato ancora casa nella sua casa - , dove la materia prima è prima anche in senso ordinale, un a priori senza la quale non sarebbe possibile alcun piatto, con la quale l'ispirazione e il talento affiorano felici.

Felicità che finisce dritta in chi si siede alla tavola del b3.

Ristorante b3
via Torquato Tasso 49
24121 Bergamo
tel. 328 7609597
Chiuso Dom
Cena solo su prenotazione

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