sabato 11 agosto 2012

Una patata per il paradiso: 'o ruoto a'o furno



Una delle maggiori testimonianze dell'evoluzione umana è l'invenzione del forno, e non lo dico solo per ovvie ragioni gastronomiche, basti pensare a come questo strumento abbia contribuito lo sviluppo tecnologico e artigianale dell'uomo, dall'estrazione dei metalli alla cottura delle ceramiche.

Per non parlare delle sue applicazioni alimentari: col forno il mondo produce la base di ogni cultura gastronomica, ossia il pane nelle sue infinite declinazioni, e il piatto locale più diffuso e quindi martoriato del mondo, che è la pizza.

Qualsiasi cosa proviate a fare al forno verrà di base più gustosa che se fatta sul fuoco, forse più pesante, ma sicuramente più ricca nel sapore.

Mi fa sorridere il modo in cui i siciliani concepiscono il forno, quasi fosse un ingrediente aggiuntivo al piatto, ma la dice lunga sul ruolo fondamentale di questo mezzo di cottura, capace di dare un'impronta inconfondibile, tanto che nel palermitano la pasta - in genere anelletti - non è al forno ma è cu 'o furno!

Il concetto di sviluppo va sempre preso con le molle, e anche in questo caso il forno fa da cartina tornasole: è più civile la nostra città o un villaggio indiano con il forno tandoori pubblico?

La risposta la sanno bene quelli di forno pubblico che a Roma sono alle prese con la costruzione di forni a legna in pietra per tutti i cittadini, come era prassi nella gloriosa antichità dello stivale.

Viva il forno, dunque, anche se d'estate usarlo comporta qualche sacrificio in termini di sudorazione!

La ricetta di seguito è sorprendente per semplicità e bontà, ma prima un chiarimento.

A Napoli la teglia da forno si chiama 'o ruoto, ovviamente in riferimento alle teglie circolari per le paste e il sartù, ma il nome si estende anche a quelle rettangolari, tanto che 'o ruoto più che indicare il contenitore sta a significare insieme di ingredienti miscelati da cuocere nel forno affinché avvenga la magia ed è divertentissima - oltre che corretta - la spiegazione data nella serie Cogito ergo Sud.

È ruoto la pasta al forno come la parmigiana, lo è altrettanto l'agnello stile Pasqua come una semplice patata con cipolla e pomodoro, come nel nostro caso, la versione più povera ma forse più schietta e saporita del ruoto.

venerdì 10 agosto 2012

Parmigiane d'estate

Se fai parte di coloro che si chiedono quale dicitura sia corretta tra melanzane alla parmigiana o parmigiana di melanzane, allora ti do due notizie:

  • sei nel posto giusto per risolvere il dilemma
  • sei fuori strada con questa domanda
La cucina tradizionale del sud Italia annovera numerose versioni di questo piatto costituito da strati di melanzana e strati di formaggi e pomodoro in varie salse.

Lo stato attuale delle cose vede attestarsi al sud la dizione parmigiana di melanzane e al nord quello di melanzane alla parmigiana.

Primo chiarimento: al sud in realtà diciamo parmigiana di melenzane, con la e, perché deriva da mele insane, nel senso di frutti della terra amari, e poiché quest'ortaggio si lavora sempre in numero superiore a uno, ecco che il plurale mele insane evolve in melenzane.


Secondo chiarimento: benché i testi sacri del Corrado e del Cavalcanti contengano una sezione di ricette alla Parmigiana in senso di toponimo, in realtà la dicitura del sud è molto più antica e si basa sul turco patlican, cioè melanzana, ed ecco spiegato perché parmigiana fa da soggetto e di melanzane fa da complemento di materia.

Terzo chiarimento: il Corrado contiene una ricetta per le zucchine che risale a prima dell'arrivo dei pomodori e che per il resto è identica alla parmigiana, ma condita con una salsa d'uovo; infatti, nella naturale evoluzione, le varie parmigiane di zucchine quasi sempre richiedono la doratura e frittura delle fette di ortaggio, cosa che per la versione con melanzane è ritenuta disdicevole tra i napoletani, anche se molto diffusa anche nella stessa provincia partenopea.

Conclusione: si dice parmigiana di melanzane per la sua origine turca, la versione con zucchine prescrive la frittura delle stesse e il Parmigiano è arrivato molto più tardi, ma è il caso di dire meglio tardi che mai.

Finito lo sproloquio, passiamo ai fatti.

D'estate l'accensione del forno mi crea sempre enormi conflitti interiori: la capacità del forno di rendere buona qualsiasi cosa lotta con il bisogno del corpo di non surriscaldarsi.

Per fortuna, detti ortaggi, unitamente ai latticini, al pomodoro e a tutto il resto, si prestano alla grande anche per versioni estive di tutto rispetto.

Ecco le mie, con melanzane e con zucchine.

mercoledì 8 agosto 2012

Pausa pranzo: mezzogiorno all'indiana


Pentole con riso, piccoli tegami con intingoli colorati e profumi che annebbiano chi siede a tavola e che dalla foto non puoi sentire.

L'associazione cucina indiana/spezie/aromi è ben salda anche nell'immaginario di chi indiano non ha mai potuto o voluto mangiare, anzi, chi l'adora afferma di amarla proprio perché speziata, e chi la odia giustifica il suo sentimento nello stesso modo, e vale per quasi tutte le cucine esotiche.

Se a Bergamo, la cucina indiana si può gustare al Guru o al Maharaja (di cui ho parlato in questo post), per chi bazzica la bassa pianura da pochissimo ha aperto alla Cascina, negli stessi locali che gli abitanti di Romano di Lombardia  e Bariano ricordano aver ospitato più volte le varie gestioni del Macallé e poi del Borderline (e il nome era già un programma) e che adesso è teatro di una nuova avventura italo-indiana.

Consapevole di scrivere per un ristorante che potrebbe non esserci più a breve, vista la storia, la curiosità è scattata in modo potente.

Soprattutto poi quando l'opuscolo mi ha rivelato non solo i menù degustazione da 31, 33 e 35 € (rispettivamente vegetariano, carne e pesce) ma anche la proposta pranzo indiano a 8 € con bevande: impossibile rimandare.

L'acquasale che sa di Puglia


Siamo tutti pugliesi, o meglio, dovremmo obbligarci numerose volte all'anno a fare qualcosa di pugliese, ascoltare qualcosa di pugliese, mangiare qualcosa di pugliese e perfino andare in uno dei meravigliosi angoli di questa regione unica.

Sono giorni difficili per questa terra, tra le disavventure dell'ILVA e la proliferazione d'imbecilli che bruciano il Gargano e tutti dobbiamo augurarci la soluzione definitiva a problemi atavici alimentati spesso dall'abitudine all'inerzia.

Un tale crogiolo di cultura, in tutti i sensi, non merita martiri simili, da ciò il mio omaggio.

Quello che mi piace della Puglia è che nella cucina come nelle usanze o nella musica e nell'arte, le sue versioni sono sempre più selvagge, primitive, nel senso nobile del termine, di quelle delle altre regioni meridionali, il che per me significa originarie.

Da napoletano al nord, spesso devo sorbirmi la filastrocca di Napoli dove si balla la tarantella, e ogni volta dentro di me mi contorco perché sono sempre troppo pochi coloro che conoscono l'origine pugliese ed esoterica della taranta.

Così come quando mi triturano i cabbasisi con la storia che da noi c'è il mare  e quindi si mangia il pesce, mentre in Italia le città dove assaggiare il pesce che arriva direttamente dalla barca sono prevalentemente sull'Adriatico e quelle pugliesi sono tra le principali.

L'essenzialità coincide con la sincerità, concetto che massimamente emerge dall'enorme ricchezza dei piatti poveri, se mi si passa l'ossimoro.

venerdì 3 agosto 2012

Back to black, ovvero il nero di seppia

Ad alcune persone l'uso del nero di seppia fa semplicemente impressione.

La sua natura di non colore non fa scattare alcuna associazione con i domini naturali.

Quando vediamo il marrone, il verde, il rosso, persino il blu (che poi non è blu) di alcuni formaggi, riconosciamo il colore di elementi dell'ambiente, la terra, il legno, i fiori, il cielo.

Col nero invece o scatta la passione, il fascino del buio, o niente.

Io ovviamente faccio parte di coloro che ne sono affascinati, e a Barcellona penso di aver mangiato quintali di riso al nero di seppia.

Non mi intrigano gli usi decorativi del nero, spennellato sui piatti, mentre trovo estremamente piacevole la sua lavorazione nelle paste.

Ma oltre al nero c'è qualcosa di più misterioso, dentro questi tortelli.