Bernabò Visconti doveva senz'altro essere un
gourmand ante litteram, perché quando a metà del Trecento si vide assegnare il feudo contenente il paese di
Tilleggio, pensò bene di farsi omaggiare dai cittadini della zona con la bellezza di duecento forme di
caseus bene stationatum.
Tilleggio diventa poi
Taleggio e dà il nome a questo
caseus che secondo alcuni risale alle tribù celtiche precristiane - anche se le fonti sono molto incerte - che già lo facevano nella caratteristica forma quadrata.
E infatti, bisogna aspettare la fine dell'
800 per identificare col nome di
Taleggio quello che s'era sempre chiamato
strachì quader, la cui produzione nei secoli si era diffusa in buona parte della
pianura Padana, perché gli allevatori - i
bergamini più di tutti - salivano e scendevano, nel corso dell'anno, tra la bassa e le Alpi, per la transumanza.
In genere, si arrivava di nuovo in pianura nella seconda metà dell'estate inoltrata, il cammino era stato lungo, a essere
stracch erano sia le mucche che i pastori, e così il formaggio prodotto più o meno a fine agosto prese il nome di
stracchino.
I nomi sono sempre conseguenza dei fatti, nulla di strano dunque se lo
stracchì quader addirittura assunse il quasi-toponimo
di Milano - dove ne andavano ghiotti - definizione che compare alla pari con quella di
fatto come in Val Taleggio, prima del definitivo battesimo.
Dal
1996 il
Taleggio è
DOP, ha il suo
consorzio, le sue regole, la sua tutela, e soprattutto - grazie al lavoro di casari di grande tradizione - è sempre più un formaggio d'eccellenza.
La produzione del
Taleggio, dunque, ha investito tutta la provincia di
Bergamo e se in passato la delicata fase di
stagionatura necessitava ancora del clima alpino - alle origini, le forme si facevano stagionare nelle grotte - la tecnologia moderna permette anche alle aziende di pianura di realizzare tutto il processo produttivo di questo formaggio che - a differenza di quelli caratterizzati da un'origine prevalentemente montana - si può ben dire bergamasco a tutti gli effetti.
Ora, io mi trovo questo tesoro, realizzato da
Massimo Taddei -
qui il racconto della mia visita nella sua azienda - che la luce del sole magnifica, lo sto centellinando fetta dopo fetta, giorno dopo giorno, e mi regala profumi e sensazioni caratteristiche, con questo ricordo di bosco e di tartufo, e il bellissimo gioco tra la percezione pastosa e una vena appena percettibile di acidità.
La maturazione fantastica - questa forma è stagionata per ben
60 giorni - va dall'esterno all'interno, così basta appoggiare la punta del coltello nel sottocrosta per scoprire che lì la cremosità è sorprendentemente avanzata.
Oltre a essere incredibilmente buono al naturale o con i classici abbinamenti da formaggio come
confetture o
miele, il
Taleggio si usa come formaggio da farcitura più o meno a 360 gradi, e l'intensità del suo profumo e del suo sapore non devono trarre in inganno, perché sa sposarsi bene con tantissimi altri ingredienti.
Ma nella cultura popolare bergamasca, il
Taleggio si mangia con la
polenta, anzi, la
polenta diventa il
contenitore del
formaggio, in un piatto tipico chiamato
schisöla, in forma di pallottole farcite che vengono poi abbrustolite o addirittura fritte in olio, dopo un passaggio nelle uova; oppure semplicemente facendo raffreddare la polenta e alternando le sue fette con altrettante di formaggio, prima di un'ultima miracolosa passata in forno, fino a far sciogliere questo antico signore dei formaggi, che i secoli non intaccano, le mode non snaturano, e il buon gusto non può non onorare.