venerdì 30 gennaio 2015

Una pizza tra Hollywood e Treviglio

Le insidie maggiori a volte stanno nelle cose apparentemente più semplici.

E tra le miriadi di cose che puoi decidere di mettere tra i denti in un qualunque sabato sera non particolarmente degno di nota rispetto agli altri, puoi star sicuro che la scelta di una pizza ti accomuna a migliaia di altre persone a caccia di una soluzione rapida e indolore.

Da qui in poi, è questione di latitudine, e quanto sei sopra l'equatore diventa determinante per la tua soddisfazione dopo aver mangiato questa benedetta pizza.

Qui in provincia di Bergamo il discorso si fa scottante come una margherita appena uscita dal forno a legna a 450 gradi, vuoi perché per fare una margherita accettabile ci vogliono un pomodoro e un latticino sinceri, e soprattutto il forno di cui sopra, che nei paraggi suddetti o latita o non è utilizzato in tutto il suo potenziale.


E non ho parlato dell'impasto, e di tutte le magagne che si porta dietro.

Paste poco idratate, fatte crescere con alto pompaggio di lievito, ma poi non maturate abbastanza, stese col caterpillar, affinché facciano cric-croc come le schiacciatine confezionate in bustine trasparenti, che hanno gli stessi difetti ma almeno non osano costare circa una decina d'euro.

Quadro nero, de gustibus, napoletanitudine eccessiva, non lo so, però so che la pizza mi manca, che m'invento ogni scusa o per farmela a casa o per costringermi ad assaggiare quelle dei dintorni orobici, per nulla esausto dalle delusioni.

Di Hollywood Pyzza Restaurant a Treviglio si parla bene, se sai tradurre il vocabolario indigeno sulla morfologia della pizza.

Quando una pizza ha le caratteristiche di quella partenopea - ossia disco pieghevole, sottile, bordato da cornicione soffice e alveolato - qua la chiamano pizza alta, che sarà improprio come aggettivo, però ormai si è capito che vuol dire tipo quella napoletana, anzi, molto spesso le persone la dicono per esteso: sai, l'Hollywood Pizza la fa alta, come quella napoletana - che poi non è affatto alta, va be' - , e quando napoletano lo sei non puoi frenare la curiosità.

Scopro poi, dai commenti di chi l'ha provata prima, e dalle parole sul loro sito poi, che la pizza viene stesa nella semola di grano duro.

Sospiro, sollevato, perché l'unico motivo valido per una simile procedura è avere un impasto così morbido e pieno d'acqua da necessitare quest'asciugatura d'urto da parte della semola.

Sì, poi lei ti lascia quel velo granuloso sulla superficie della pasta, ma non crediate che lo facciano per darvi la sensazione tattile in bocca.

Fatto sta che l'impasto morbido e idratato è un grande punto a favore.

Sicuramente se hai dei forni elettrici devi essere solo un pazzo se poi non fai un impasto simile, perché con un'idratazione media ti esce la famosa pizza-cracker cui alludevo più su e che ho già stigmatizzato in altri racconti (e di pazzi simili, soprattutto d'asporto, qua siamo pieni).

E poiché all'Hollywood la pizza va nel forno elettrico, la scelta è quanto mai oculata.

Dunque, ce l'hanno messa tutta nell'impastarla e nello stenderla, ma con quali risultati?



Dieci gusti per me posson bastare... Ho sbagliato io, mi sono ficcato in un pastrocchio di sapori, rischioso perché si sa che la troppa varietà a volte è sostenibile solo abbassando l'asticella della purezza dei singoli elementi.

Restando alla pizza in sé, il risultato in termini di morbidezza, sofficità e spessore (do you remember the pizza alta, tipo quella napoletana?) corrisponde alle descrizioni e si situa senza dubbio ben al di sopra di ciò che offre la concorrenza agli amanti della pizza-biscotto.


Col calzone aperto mi va molto meglio, tra San Daniele e mozzarella di bufala, e qui la fattura dell'impasto si sa raccontare con più dovizia che nella pizza stesa, e ti accoglie insieme agli ingredienti, aggiunti a crudo dopo la cottura della sola pasta, come un antro promettente di gusto.


Il tre, senza il quale non ci sarebbe neppure il due, a questo punto può sembrare rischioso, dopo la risalita operata dal calzone, ma a onor del vero la cime di rapa non fa abbassare la media, complici stavolta soprattutto gli ingredienti dal sapore affidabile, su un disco di pasta che ha il pregio della costanza.


Carta delle birre in bottiglia che non approfitta della dimensione artigianale e si attesta su etichette di maggiore diffusione, come questa Mönchshof Kellerbier affiancata da una Peroni Rossa Gran Riserva, giusto per non doversi per forza sorbire una Weißbier.

Curiosa la sezione del menù sulle probabili aggiunte o varianti che potrebbero venirti in mente per la tua pizza, nella quale si va dall'1,50 € per la mozzarella ai 5 per vari carpacci marini.

Locale che vuole dire la sua in fatto di tendenza, e che per questo più volte ha partecipato e vinto in concorsi per ristoranti, bar e discoteche nei quali vince quello che tira di più.
La tovaglietta sul tavolo cita direttamente Steve Jobs che ammoniva gli studenti di Stanford su quanto sia importanti ricordarsi che tutti moriremo:

Adesso il nuovo siete voi, ma un giorno non troppo lontano diventerete gradualmente il vecchio e sarete messi da parte.

La pizza in sé, per fortuna, era già molto più vecchia di Steve Jobs e sembra avere tutte le intenzioni di sopravvivergli a lungo.

Per un locale, invece, cavalcare il cambiamento, rimanendo sé stesso, è una sfida tutta da scrivere.

Magari sulla prossima tovaglietta...

Viale De Gasperi 4
24047 Treviglio (BG)
tel. 0363 309526
Chiuso Sab pranzo

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