È piuttosto strano per un produttore di vino cominciare a presentare
i suoi vini parlandone male.
Andi Fausto sceglie di cominciare il racconto della sua
esperienza di vignaiolo da questa considerazione che, proprio per il suo
carattere insolito e disorientante, sintetizza in realtà lo spessore della persona,
l’atteggiamento del professionista, la visione esistenziale dell’uomo Andi
Fausto.
Per chi ha potuto, il 29 giugno scorso, udire le sue parole all’Agriturismo Monte Cura di Cristiano Cumini, l’esordio del suo discorso dev’essere stato
spiazzante quanto salutare, di quelli che radono al suolo i preconcetti con i
quali spesso inquiniamo l’ascolto degli altri, per lasciare un campo libero nel
quale le parole di Fausto – portato lì ad Albino da Alfredo Leoni della Top-Wine
– hanno potuto radicarsi e sviluppare con la giusta armonia.
L’iperbole d’altronde non è cercata per gusto retorico, ma è
la sacrosanta descrizione di ciò che Fausto stesso pensa del suo Ardito 2011, il
primo dei vini del percorso di degustazione abbinato ai prodotti e a i piatti dell’Agriturismo
Monte Cura, a partire da speck, pancetta, salame e verdure sott’olio, che
Cristiano e la sua famiglia realizzano con rispetto e qualità.
L’Ardito tecnicamente è un blend, descrive Fausto, e io
penso che il blend sia frutto di un concetto sbagliato, perché è evidente che
un blend non farà altro che livellare se non addirittura azzerare le
peculiarità dei singoli vitigni dai quali derivano i vini.
Ma allora perché lo produce, verrebbe da chiedere naturalmente.
In realtà, il blend non è cercato ma è il naturale
assemblaggio delle eccedenze annuali, che Fausto ha ovviamente sempre
realizzato, destinandolo a un consumo interno o a una ristretta cerchia di
amici, per il semplice fatto che gettare via non rientra minimamente nei suoi
canoni, e fin qui ci può stare.
Tuttavia la richiesta dei clienti e dei ristoratori di avere
un prodotto di costo inferiore - fidandosi però ciecamente della qualità che
Fausto è in grado di garantire con i suoi vini - assieme al dato
incontrovertibile della bontà del blend in questione - ha spinto il nostro
vignaiolo a imbottigliarlo, battezzarlo e dargli piena dignità accanto allo
schieramento delle sue altre bottiglie, da quelli che lui chiama quotidiani – e
che in realtà sbaragliano alcuni tra i migliori piemontesi e toscani – alle riserve,
fino ai prodotti di eccellenza assoluta.
Va sottolineato che già in questa scelta sull’Ardito emerge
l’atteggiamento di ascolto della terra da parte di Fausto, che non progetta un
vino a priori pensando a un target, ma cerca – conservando il massimo grado di
rispetto per la vigna – semplicemente di rispondere a ciò che la terra gli dà
di volta in volta, con l’intento di arrivare a ottenere il massimo da quelle
determinate piante in quel determinato terreno e in quella determinata annata,
se necessario anche stravolgendo qualsiasi strategia post produttiva, col
rischio magari di deludere un pubblico in attesa.
Ma quando un mio vino comincia a piacere a tante persone sono
io che comincio a preoccuparmi, rincara la dose, il nostro Fausto, non in modo
spocchioso e snobistico, ma a sottolineare che se lasciamo fare alla terra,
limitandoci a creare le condizioni necessarie per il suo auto sviluppo,
azzerando la meccanizzazione, sostituendo in toto la chimica industriale con
bioinduttori di resistenza come il latte e microrganismi autoprodotti in
azienda - e laddove non siano autoprodotti si ricorre a piccole aziende locali, costituendo così una rete di solidarietà e sostenibilità - , le uve saranno in grado di tirare fuori una personalità sconosciuta,
delle caratteristiche organolettiche inedite perché in realtà soffocate dall’interventismo,
che il lavoro in cantina permetterà di completare nel rispetto di una dinamica
naturale e non provocata con intenti finalistici.
Di conseguenza, vini di grande personalità che non possono
piacere a tutti, come dovrebbe essere per tutti i prodotti realizzati con
sincera artigianalità, cioè come si era sempre fatto nel nostro paese e che
purtroppo ci si è colpevolmente dimenticati.
Tu fai… e lasciali parlare, recita la chiosa delle sue retro
etichette.
Con la pazienza dei veri saggi, Fausto in tutti questi anni
dev’essersela ripetuta parecchio questa frase, perché tutto ciò che oggi lo
rappresenta – dal modo di trattare le piante, alle tecniche, anzi, le non
tecniche applicate in cantina, dall’impegno vero e non sostenuto da alcun
finanziamento pubblico nel sociale, ai criteri di selezione della clientela –
negli anni passati è stato oggetto di derisione, di stigma, di vera e propria
discriminazione.
Emblematico il caso delle guide di Slow Wine e dell’Espresso,
che per anni lo hanno evitato più che ignorato – perché la sua sarebbe stata
una presenza ingombrante – e poi di punto in bianco hanno deciso – con delle
degustazioni non ufficiali – di inserirlo in guida, beccandosi una bella
diffida a proseguire nel menzionarlo, perché la gente va aiutata quando ne ha
bisogno; anni fa potevo aver bisogno di essere in queste guide, perché stavo
costruendo; oggi che sono perfettamente autonomo, e che mi posso addirittura
permettere di vendere il vino solo a chi mi sta simpatico, sono loro che hanno
bisogno di me.
Non ha alcuna paura di dire le cose in faccia, Fausto, e non
teme di sbandierare la rinuncia all’uso di trattamenti chimici che sarebbero
obbligatori ma che lui non applica, bensì denuncia apertamente di non
applicare, perché sa di poter dimostrare in qualsiasi momento che le sue
metodologie rinforzano e sviluppano le piante, mentre i trattamenti prescritti
per legge le danneggiano.
Uso del rame? Non se ne parla, solo microrganismi
autoprodotti, macerati, oli essenziali e idrolati.
Lieviti selezionati? Non esiste, sono più che sufficienti i
suoi indigeni che scherzosamente appella come cazzuti.
Filtrazione, chiarificazione, riduzione dell’ossigenazione,
della maturazione?
Niente di tutto questo, anzi, residui e fecce con le loro
azioni antiossidanti, botti scolme per favorire l’attivazione dei solfiti
naturali, alcolicità non mitigata che permette le surmaturazioni ma che poi al
palato non si percepisce, la vinificazione di Andi Fausto viaggia all’opposto
del noto e del consueto, e non per spirito di contraddizione, ma per profonda
conoscenza della cultura del fare vino, quella vera, storica, plurimillenaria,
nel solco della quale Fausto si sente a pieno, e giustamente gli fa affermare non
ho mai copiato, chi copia arriva sempre secondo, una scelta difficile da
difendere quando il mercato attorno tenta di condizionarti in tutti i modi,
anche con l’ostracismo che Fausto però è riuscito a disintegrare.
Non ho mai fatto due volte la stessa cosa, è un’altra
dichiarazione emblematica, non una sparata per fare colpo, ma la descrizione di
ciò che realmente in questi anni è accaduto, e chiunque scorresse l’elenco dei
vini prodotti negli ultimi quindici anni scoprirebbe quanti di questi non sono
stati più realizzati.
Per Fausto, infatti, la fidelizzazione del cliente deve
avvenire sulla base della fiducia per il produttore e non per il gusto di un
certo vino, perché se per determinate contingenze quello stesso vino dell’anno
precedente non si può realizzare l’anno successivo, non è giusto andare a
correggere il prodotto per replicare il vino che il pubblico sta aspettando.
Esemplare il caso della Poderosa 2014, che Cristiano
accompagna con i suoi meravigliosi tortelli con pera e strachitunt (ricordiamo
che questo formaggio è uno dei pochi erborinati prodotti senza muffe inoculate,
ma semplicemente mettendo a contatto due cagliate a diversa temperatura che
saldandosi non perfettamente lasceranno spazio all’ossigeno e alla produzione
di muffe naturali).
Molti ricorderanno che nel 2014 l’estate praticamente non c’è
stata, e quindi anche la barbera di Fausto – che di solito raggiunge livelli di
residuo zuccherino e alcolicità importanti – non era riuscita a maturare nel
pieno della sua potenzialità.
Così il nostro vignaiolo, cambiando in corsa e tradendo
probabilmente le sue stesse previsioni aziendali, ha deciso di usare la bacca
rossa per una vinificazione in bianco, più in linea con le caratteristiche di
aromaticità e acidità che l’uva barbera aveva sviluppato per le particolari
condizioni meteorologiche.
Ovviamente, nell’anno successivo, caratterizzato da un’estate
nella norma, non è stato possibile replicare e quindi buon per chi la Poderosa
l’ha potuta assaggiare, perché chissà se mai sarà possibile per Fausto rifarla.
Il profondo rispetto per la natura e per l’autenticità di un
territorio caratterizza il largo impegno di Fausto nel recuperare tipologie d’uva
un tempo peculiari e che per ragioni commerciali erano state abbandonate.
È forse per questo che con la tagliata di manzo di
Cristiano, cioè con la materia prima che arriva direttamente dall’allevamento
autoctono dell’agriturismo Monte Cura, Fausto abbia scelto di abbinare il suo
Estro 2011, simbolo di uve e tecniche recuperate.
Croà, Moradella, uva di cascina e Vermiglia non sono
assemblate come in un blend, bensì si tratta di un uvaggio in vigna, con le
viti che contemporaneamente sono portate avanti nell’intero processo
produttivo, metodologia che fino al secolo scorso era l’assoluta norma, e che
grazie alla qualità delle viti e alla maestria artigianale di Fausto si
condensano in un bicchiere che sa dialogare con la carne alla brace come e
meglio dei grandi rossi di tradizione e consuetudine italica.
Mentre Fausto ci affabula, alle sue spalle spicca una
barbatella della più antica vite europea, trovata per caso sette anni fa in un
bosco, di origini georgiane, un’uva a bacca bianca che presenta tratti genetici
affini a malvasia e pinot, e che con la sua proverbiale pazienza – nonché con l’aiuto
di grandi professionisti della vivaistica – Fausto sta facendo sviluppare assieme
ad altre nello stesso terreno nel quale saranno impiantate, lavorando al
momento soprattutto nella fortificazione dell’apparato radicale, cominciando
subito i suoi trattamenti diversi e prolifici, per ottenere un’uva che nel giro
di venti-trent’anni farà molto parlare di sé.
È nel rapporto con il tempo, insomma, che si esplica al
meglio la storia e il destino di Andi Fausto, un tempo a confronto del quale i
sei anni di questa barbera Sottosera 2010 – che pochi non sono – restano in
realtà una piccola parte dell’arco necessario a riportare il territorio della
sua azienda alle condizioni migliori affinché diventi sostenibile, fonte di
reddito virtuosa, autosufficiente e a impatto zero.
Con il tortino al cioccolato dal cuore morbido, poi, l’indole
accattivante e l’intensità dell’estrazione di questa barbera finiscono per
creare un’intesa preziosissima.
Sia Alfredo Leoni e la sua Top-Wine che Cristiano Cumini e il suo Agriturismo Monte Cura probabilmente rimarranno orgogliosi di aver creduto all'importanza di far conoscere Andi Fausto e il suo modo di intendere non solo il lavoro ma addirittura la vita, e lo rimarranno credo per lungo tempo, proprio quel tempo sul quale ha tanto da dire e insegnare.
Sia Alfredo Leoni e la sua Top-Wine che Cristiano Cumini e il suo Agriturismo Monte Cura probabilmente rimarranno orgogliosi di aver creduto all'importanza di far conoscere Andi Fausto e il suo modo di intendere non solo il lavoro ma addirittura la vita, e lo rimarranno credo per lungo tempo, proprio quel tempo sul quale ha tanto da dire e insegnare.
Il tempo e Fausto, dunque, o forse si potrebbe dire che il tempo è
Fausto, è favorevole per chi sa aspettare, come deve fare chiunque voglia avere
un rapporto serio con la terra, ma è altrettanto favorevole quando si tratta di
coglierlo, come attimo, per agire risoluti e rispondere a ciò che la terra in
quel momento è in grado di offrire.
Il tempo di Fausto, un tempo lungo che non ha paura della
sua lunghezza, nel quale ha costruito, disfatto, ricostruito, seguito un corso,
abbandonato, riaperto un altro, in un’instancabile ricerca di onestà verso l’ambiente
e congruenza verso se stesso.
E il tempo per Fausto, il tempo di oggi, gran signore che
gli ha restituito centuplicati gli sforzi, le scelte, le rinunce, i no, i
voltafaccia, le derisioni, e che adesso sono relitti alla deriva di un mondo
senza coraggio che prima ha cercato di domarlo e ora addirittura lo bramerebbe
come sua guida.
Tu fai… e lasciali parlare, ma che bello vedere che oggi non parlano più, se ne stanno muti, a riconoscere il merito e la grandezza del più geniale dei vignaioli.
Tu fai… e lasciali parlare, ma che bello vedere che oggi non parlano più, se ne stanno muti, a riconoscere il merito e la grandezza del più geniale dei vignaioli.
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