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martedì 6 novembre 2018

A Zanica, gli stimmi miracolosi di Gabriele Belletti


I fiori sono enormi, molto più grandi di come si possa immaginare, e Gabriele - che quei fiori li ha fatti nascere - aiuta il sole a irradiarli con la soddisfazione dei suoi occhi.

A Zanica, dove la pianura bergamasca si abbassa e la terra si fa sabbiosa per l'influenza del Serio, tra una pista dove atterrano e decollano di continuo aerei per voli a buon mercato e uno shopping center da 200 negozi con una multisala e una fiumana impazzita di gente, sta avvenendo un miracolo che affonda le sue radici nel mito, antico come l'eternità ma dalla vita fugace: la fioritura dello zafferano.

Lo Zafferano del Portichetto - questo è il nome che Gabriele Belletti ha scelto per la sua creatura - è qualcosa di più del classico sogno divenuto realtà, e nello stesso tempo qualcosa di più semplice: è la scelta di un ragazzo che, nel bel mezzo dei suoi studi superiori di agraria, ad appena quindici anni, decide di rimboccarsi le maniche e mettere tutti i suoi sforzi in un rettangolo di terreno per centinaia di ore di lavoro e cura, pur di far nascere uno zafferano purissimo e di qualità superiore.

Mi ha chiamato in fretta, Gabriele, per darmi il privilegio di assistere allo splendore dei fiori aperti, prima di raccoglierli da lì a poche ore, nell'alba successiva, pronti a regalare tre stimmi ciascuno per andare a deliziare il palato di quei fortunati che se lo procureranno, e tra questi la buona sorte ha inserito anche me.

La luce in fase calante è quella di un autunno ancora trattenuto da scampoli intensi d'estate, così l'oro del sole sembra annunciare l'altro oro, quello che nascerà dai pistilli dei fiori distesi qui davanti.

Per un attimo la mente fugge da questo angolo di terra umile, abbastanza lontano e nascosto dalle brutture della crescita fatte di capannoni e centri commerciali, e si figura il momento in cui si arriva alle casse dei supermercati, e all'improvviso sembrano uscire allo scoperto quelle buste piatte gialle di zafferano in polvere pronto all'uso.

La distanza tra i due luoghi, il passaggio da questi solchi di terra alle corsie del supermercato è immenso, e spesso inconcludente, visto che quasi sempre in quelle buste piatte di zafferano autentico ce n'è ben poco, adulterato da altre polveri di natura o solo di colore simile, come il cartamo o la curcuma.

E pensare che nell'Inghilterra del XV secolo chi smerciava zafferano falso veniva come minimo imprigionato se non addirittura bruciato sul rogo, perché per la florida economia mercantile inglese lo zafferano  - che aveva già spinto gli inglesi a ribattezzare la città di Walden in Saffron per il suo pregio - era come un'ulteriore moneta di scambio da tirar fuori per vincere qualsiasi trattativa.


Senza ricorrere a pene corporali, Gabriele cerca di combattere il falso zafferano in maniera indiretta, ossia producendone una tra le migliori qualità, grazie a bulbi abruzzesi biologici fatti arrivare nel 2016, dopo i primi vittoriosi esperimenti con altri bulbi toscani, che ancora oggi fa riprodurre in serre per controllare meglio il processo.

Sembra quasi che tra quei fiori dagli stimmi miracolosi e questo ragazzo - che oggi di anni ne ha appena venti - dalle mani alacri ci sia una specularità, e gli uni riflettono nell'altro la purezza organolettica per riceverne il riflesso della purezza d'animo.

In piena fioritura come il suo zafferano, Gabriele mi racconta della faticaccia affrontata a partire dalla fine dell'estate, quando ha dovuto liberare il campo da erbacce di ogni sorta che lo avevano completamente ricoperto.

Ma lo zafferano  non demorde, si potrebbe dire che condivide con le piante infestanti la stessa tenacia, tanto che fiori altrettanto belli e rigogliosi sono spuntati anche a parecchi metri dal terreno piantato, però le similitudini per fortuna terminano qui.

Con la stessa semplice franchezza, Gabriele si dichiara il primo consumatore del suo stesso prodotto, semplicemente perché ama il risotto giallo, come è chiamato qui nella bergamasca il risotto alla milanese, e io davvero credo che la voglia di prepararlo con il miglior zafferano possa essere già da sola una motivazione validissima ad affrontare il duro lavoro necessario.

Del resto, la storia del risotto alla milanese - o meglio, le leggende alle quali lo si fa risalire - raccontano proprio di due lavoratori che seppero condire le proprie fatiche con la magica spezia dorata, anche se poi le due narrazioni presentano le tipiche incongruenze e forzature di tutte le storie sulle origini.

Nella prima, un cuoco abruzzese - chiaro riferimento al più famoso zafferano d'Italia, portato dalla Spagna in Abruzzo dal domenicano Domenico Santucci nel Medioevo - avrebbe condito del riso in bianco con questa polvere donatagli da un pittore, raggiungendo un successo insperato.

Nell'altra - più articolata - il garzone del pittore Valerio da Perfudavalle, che lavorava alla fabbrica del Duomo nel XVI secolo, era diventato tanto bravo a usare la spezia come colore da meritarsi il soprannome di zafferano, e i suoi amici, alla festa per il matrimonio con la figlia del maestro Valerio, dovendo fare il classico scherzo agli sposini, prepararono loro un riso colorato di giallo - il che era inconcepibile all'epoca - utilizzando proprio lo zafferano, e dando vita a uno dei piatti più celebri e anche più buoni della nostra cucina.


Lasciando il leggendario e tornando alla solida realtà, ciò che colpisce ulteriormente in Gabriele è che a dispetto della giovane età ha già accumulato quell'esperienza che oggi lo proietta tra i principali produttori di zafferano bergamasco, perché gli permette di massimizzare la qualità del  fiore e degli stimmi grazie ad accorgimenti oculati, come l'uso dei teli in fibra di mais per evitare il proliferare di infestanti, oppure il semplice ma determinante dettaglio di non lasciare gli stimmi attaccati allo stilo giallo, perché non alteri la purezza del sapore.

La bellezza condisce quest'avventura come un felice presagio della bontà che andrà a condire le prelibatezze che si possono preparare con lo zafferano, e a ragione le api non si lasciano sfuggire la ghiotta occasione di visitare i grossi fiori, che il mito classico fa risalire all'amore proibito tra Croco e la ninfa Smilace, per il quale il giovane pagò il caro prezzo di essere trasformato proprio nel fiore violetto che ne ha preso il nome di Crocus sativus.


L'intera operazione di raccolta e asportazione degli stimmi avviene ovviamente a mano, e a questa segue l'essiccazione, che Gabriele effettua alla temperatura di 60°, per poi lasciare ancora prendere aria e completare il processo prima del confezionamento dei suoi 250 grammi annui in contenitori di vetro - da 0,3, 0,6, 1 e 6 grammi - che ne preservano il pregio.

Una dozzina di fili sono sufficienti per una porzione di risotto, ma anche qui l'esperienza di Gabriele gli fa suggerire sempre ai suoi clienti di polverizzarli in un pezzetto di carta da forno schiacciando con la punta di un cucchiaio, per far sprigionare il meglio dal suo tesoro.

Se gli dei abbiano davvero punito un giovane per essersi innamorato di una ninfa probabilmente non lo scopriremo mai, tuttavia io sono molto felice di aver scoperto che gli dei invece sono stati molto prodighi con Gabriele, donandogli il loro influsso benefico invece che punirlo, per il suo amore verso lo zafferano, ma ancor più felice dev'essere lui stesso, perché può andare fiero di ciò che le sue mani alacri e la sua capacità di sognare hanno saputo realizzare.

per contatti
tel. +39 3466894405
zafferanodelportichetto@gmail.com

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