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sabato 2 maggio 2015

Noter de Berghem: il Taleggio e la schisöla


Bernabò Visconti doveva senz'altro essere un gourmand ante litteram, perché quando a metà del Trecento si vide assegnare il feudo contenente il paese di Tilleggio, pensò bene di farsi omaggiare dai cittadini della zona con la bellezza di duecento forme di caseus bene stationatum.

Tilleggio diventa poi Taleggio e dà il nome a questo caseus che secondo alcuni risale alle tribù celtiche precristiane - anche se le fonti sono molto incerte - che già lo facevano nella caratteristica forma quadrata.

E infatti, bisogna aspettare la fine dell'800 per identificare col nome di Taleggio quello che s'era sempre chiamato strachì quader, la cui produzione nei secoli si era diffusa in buona parte della pianura Padana, perché gli allevatori - i bergamini più di tutti - salivano e scendevano, nel corso dell'anno, tra la bassa e le Alpi, per la transumanza.

In genere, si arrivava di nuovo in pianura nella seconda metà dell'estate inoltrata, il cammino era stato lungo, a essere stracch erano sia le mucche che i pastori, e così il formaggio prodotto più o meno a fine agosto prese il nome di stracchino.

I nomi sono sempre conseguenza dei fatti, nulla di strano dunque se lo stracchì quader addirittura assunse il quasi-toponimo di Milano - dove ne andavano ghiotti - definizione che compare alla pari con quella di fatto come in Val Taleggio, prima del definitivo battesimo.

Dal 1996 il Taleggio è DOP, ha il suo consorzio, le sue regole, la sua tutela, e soprattutto - grazie al lavoro di casari di grande tradizione - è sempre più un formaggio d'eccellenza.

La produzione del Taleggio, dunque, ha investito tutta la provincia di Bergamo e se in passato la delicata fase di stagionatura necessitava ancora del clima alpino - alle origini, le forme si facevano stagionare nelle grotte - la tecnologia moderna permette anche alle aziende di pianura di realizzare tutto il processo produttivo di questo formaggio che  - a differenza di quelli caratterizzati da un'origine prevalentemente montana - si può ben dire bergamasco a tutti gli effetti.

Ora, io mi trovo questo tesoro, realizzato da Massimo Taddei - qui il racconto della mia visita nella sua azienda - che la luce del sole magnifica, lo sto centellinando fetta dopo fetta, giorno dopo giorno, e mi regala profumi e sensazioni caratteristiche, con questo ricordo di bosco e di tartufo, e il bellissimo gioco tra la percezione pastosa e una vena appena percettibile di acidità.

La maturazione fantastica - questa forma è stagionata per ben 60 giorni - va dall'esterno all'interno, così basta appoggiare la punta del coltello nel sottocrosta per scoprire che lì la cremosità è sorprendentemente avanzata.

Oltre a essere incredibilmente buono al naturale o con i classici abbinamenti da formaggio come confetture o miele, il Taleggio si usa come formaggio da farcitura più o meno a 360 gradi, e l'intensità del suo profumo e del suo sapore non devono trarre in inganno, perché sa sposarsi bene con tantissimi altri ingredienti.

Ma nella cultura popolare bergamasca, il Taleggio si mangia con la polenta, anzi, la polenta diventa il contenitore del formaggio, in un piatto tipico chiamato schisöla, in forma di pallottole farcite che vengono poi abbrustolite o addirittura fritte in olio, dopo un passaggio nelle uova; oppure semplicemente facendo raffreddare la polenta e alternando le sue fette con altrettante di formaggio, prima di un'ultima miracolosa passata in forno, fino a far sciogliere questo antico signore dei formaggi, che i secoli non intaccano, le mode non snaturano, e il buon gusto non può non onorare.


La schisöla


Ingredienti:
100 g. di farina di grano saraceno (o mais o mista)
400-500 ml. di acqua
1 cucchiaino di sale
20 g. di burro
100 g. di Taleggio DOP

In genere si usa la polenta gialla consueta, ma i particolari sentori di questo Taleggio Taddei ultrastagionato secondo me vengono esaltati dal grano saraceno.

Ricordati che per una buona polenta il rapporto tra farina e acqua dev'essere di 1 a 4 o 1 a 5, che l'acqua va salata prima, che la farina va versata all'accenno del bollore, a pioggia lenta, frustando per non formare grumi, e che bisogna avere la giusta pazienza affinché, dopo almeno quaranta minuti, si possa aggiungere un tochèl di burro e versare la polenta per raffreddarla.

Se usi il grano saraceno la polenta resterà sempre un po' più pultis di quella di mais, perché il grano saraceno, non essendo un cereale a dispetto del nome, in realtà fatica ad assorbire l'acqua, ma una volta raffreddata sarà compatta come quella gialla.

A raffreddamento avvenuto - stendendola o lasciandola in forma di panetto - ricava delle fette, dei quadrati o dei dischi, che alternerai con il Taleggio DOP.

Quasi tutte le descrizioni di questo piatto suggeriscono di togliere la crosta, ma io credo che una cosa simile rasenti il sacrilegio.

Pochi minuti in forno a 200 gradi basteranno a farti vedere rivoli di Taleggio che colano tra uno strato e l'altro di polenta.

Piatto povero ricco di sapienza, e la scelta di un buon Taleggio farà la differenza.

2 commenti:

  1. un piatto semplice ma ricco di gusto e di tradizione......da leccarsi i baffi!

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